Sala delle collezioni dalla Magna Grecia


Una consistente parte del patrimonio del Museo proviene dalle varie regioni dell’Italia meridionale, che i Greci colonizzatori chiamarono “Megale Hellas”, Magna Grecia (la Sicilia non è compresa, poiché nella mente greca restò sempre un’entità separata). I reperti sono per la maggior parte vasi in ceramica.

Il maggior numero di esemplari ed i più prestigiosi appartenevano alla raccolta ottocentesca di Ottavio Fontana, un commerciante triestino. Alla sua morte la collezione fu divisa tra i due figli e la parte ereditata da Giuseppina passò in seguito al figlio di lei, Giuseppe Sartorio, i cui discendenti la donarono al Museo. Sempre nell’Ottocento, Vittorio Oblasser e i fratelli Ostrogovich, tutti commercianti triestini e appassionati di ceramica antica, riuscirono a metter insieme delle interessanti raccolte, sfruttando i loro contatti d’affari con il Sud Italia ed in particolare con la Puglia. I vasi Oblasser furono donati al Museo dagli eredi, mentre la collezione Ostrogovich fu acquistata nel 1871 dal Museo.
Le modalità di acquisizione e ritrovamento dei reperti fanno sì che il luogo di provenienza sia quasi sempre sconosciuto, ma l’integrità dei vasi e i soggetti raffigurati su di essi fanno pensare che facessero parte di corredi funerari.

La raccolta comprende innanzitutto alcuni esempi di ceramica campana, con vasi a figure rosse e nere del IV secolo a.C., che venivano prodotti principalmente a Capua e Cuma e risentivano dell’influsso della ceramica attica. La produzione lucana a figure rosse del V secolo a.C., pur risentendo anch’essa delle influenze attiche, è stilisticamente affine alla ceramica apula (vetrina MG 1 ).

Ai reperti provenienti dalla Puglia è riservato ampio spazio. In particolare, ci sono esempi di ceramica messapica, cioè prodotta dai Messapi, antica popolazione autoctona del Salento, tra VII e III secolo a.C. Tipici sono il colore chiaro dell’argilla, i motivi decorativi geometrici e la forma della trozzella, con le due anse rialzate decorate da rotelle (vetrina MG 2 ).

Per il numero dei pezzi, le dimensioni di alcuni esemplari, la bellezza e l’originalità, si segnala inoltre la ceramica apula a figure rosse del IV secolo a.C., di cui Taranto fu il centro di produzione più importante. Questa ceramica segue la tradizione tecnica e stilistica del mondo attico e fu prodotta da artisti formatisi ad Atene, ma che diedero poi origine a uno sviluppo autonomo e originale. Sono state individuate serie di opere attribuibili a singoli maestri, ai quali è stato dato un nome convenzionale (“Pittore”, o “Gruppo di” seguito generalmente dal nome della città in cui si trova ora il vaso riconosciuto come capostipite della serie, o dal nome di soggetti particolari riproposti spesso dall’autore).
Grande è la varietà delle forme destinate ai rituali funerari, al soggetto dionisiaco (vetrina MG 3, 4) e al mondo della donna (vetrina MG 6); i vasi a figure rosse erano decorati con particolari policromi sovradipinti (in bianco, rosso-bruno e giallo). Tra essi devono essere ricordati i rhyta (corni potori, imitanti gli esemplari in metallo) a testa di capra e di grifo del IV secolo a.C., e la grande anfora pseudopanatenaica del Pittore di Licurgo (360-340 a.C.), con due scene: la lotta contro le Amazzoni e la caccia al cinghiale Calidonio (vetrina al centro).
Una produzione particolare è invece la ceramica detta “di Gnathia” (dall’antico nome della cittadina pugliese di Egnazia), caratterizzata da forme raffinate con superfici nere lucide e motivi decorativi a piccole ghirlande ed elementi vegetali dipinti con vari colori a cottura ultimata (350-300 a.C.; vetrina MG 5 ).

 

Vetrina MG1, in alto

CERAMICA LUCANA A FIGURE ROSSE

Tra le scuole fiorite in Magna Grecia quella lucana e quella apula sembrano avere avuto inizio per prime, subito dopo il 440 a.C.
Il primo artista noto della scuola lucana è il Pittore di Pisticci, dallo stile vicino a quello dei contemporanei pittori attici tanto da far pensare che, benché non documentato, egli apprese la sua arte al Ceramico di Atene prima di emigrare in Italia meridionale.

 

Cratere a campana a figure rosse
Lato A: menade con tirso, tra due satiri in corteo danzante
Lato B: tre giovani ammantati
Pittore di Pisticci (440-420 a.C.)
Altezza cm 33
Inv. 1799; dono Currò 11-7-1923


L’artista più importante, il Pittore di Amykos, predilige invece le forme più grandi e un trattamento monumentale dei soggetti

 

Cratere a campana a figure rosse
Lato A: satiro nudo con cetra tra due baccanti con tirso (una solleva un rhyton)
Lato B: tre giovani ammantati
Pittore di Amykos (425-400 a.C.)
Altezza cm 31,5; diam. 32
Inv. 1695, collezione Grecia 39; da Caelium Salentino, acquisto Ostrogovich 1871


Dagli inizi del IV secolo a.C. seguono un notevole numero di scuole e artisti, ma dopo il 360 la produzione si moltiplica in diverse serie di esperienze di qualità modesta fino all’esaurimento.

Vetrina MG1, in basso

CERAMICA CAMPANA A FIGURE NERE

Le tre anfore sulla mensola sono realizzate con la tecnica a figure nere e sono datate tra 525 e 500 a.C. Si tratta di una speciale produzione di Capua realizzata, accanto a quella a figure rosse, come un fenomeno di conservatorismo, influenzato dalle contemporanee anfore etrusche e attiche. Il soggetto comprende figure umane isolate o animali, anche fantastici, tra elementi floreali, riprodotti in maniera semplificata in uno stile vivacemente espressivo e popolare.

In particolare l’opera del Pittore di Milano è caratterizzata da uno stile rozzo ma da un disegno sciolto.


Anfora campana a figure nere
Lato A: satiro nudo in marcia
Lato B: efebo nudo in marcia
Pittore di Milano (525-500 a.C.)
Altezza cm 23,5
Inv. 7697; acquisto F. Petracco 14-7-1904


Anfora a figure nere
Sulla spalla: mostri marini (cavallo pinnato e uomo pinnato)
Lato A: efebo nudo e sproporzionato con serto, altro uomo che suona il doppio flauto, cane
Lato B: uccello con becco adunco davanti a foglia
Vicino al Gruppo del Pittore di Milano (525-500 a.C.)
Altezza cm 24,4; largh. 14,4
Inv. 7700; acquisto F. Petracco 14-7-1904


Anfora a figure nere di produzione campana o apula
Sul collo: decorazione a palmette alternate a boccioli di loto
Lato A: bovino davanti a basso tripode e ramoscello
500 a.C. circa
Altezza cm 24,8; largh. 14,8
Inv. 1813, collezione Grecia 852; acquisto C. Battistella 26-3-1895


Vetrina MG1, in basso

CERAMICA CAMPANA A FIGURE ROSSE

Gli studiosi ritengono che alcuni ceramografi, seguaci della scuola siciliana, si siano trasferiti in Campania verso il 380-370 a.C. dando consistenza alle fabbriche chiaramente campane e pestane. A questo primo gruppo di ceramiche importate dalla Sicilia si ispirano le produzioni dei pittori campani, i cui vasi circolarono per lo più all’interno della sola area campana e la cui produzione viene suddivisa dagli studiosi in tre gruppi. Due devono avere avuto come centro principale di produzione probabilmente Capua e i suoi dintorni, ma i loro prodotti si differenziano stilisticamente in modo considerevole, tanto da far pensare a fabbriche del tutto separate, con limitati contatti. Il terzo gruppo, o Gruppo Cuma, risentì fortemente di un’influenza apula. I vasi a figure rosse in Campania terminano, a quanto sembra, verso il 300 a.C.; pochi di essi, molto scaduti, possono essere posteriori a questa data. Si segnalano del primo gruppo: Cratere a campana a figure rosse Lato A: Dioniso seduto con tirso e vecchio satiro con timpano Lato B: due giovani ammantati Scuola dei Pittori del Laghetto, Caivano e Errera, Pittore di Capua 7531 (350-320 a.C.) Altezza cm 25, diam. 25 Inv. 1818; acquisto da F. Petracco, 2-12-1903
Anfora a corpo alto e stretto a figure rosse sovraddipinte Lato A: Nereide su mostro marino e pesce, sul collo testa galeata Lato B: due giovani ammantati con bastone, sul collo testa femminile Pittore di Issione (350-300 a.C.) Altezza cm 52, diam. superiore 15, ventre 17 Inv. 5384; acquisto da Louis de Laigne 12-7-1905
Del terzo gruppo: Hydria a figure rosse (con elementi bianchi e gialli) Lato A: in basso ara con festoni e offerte tra due alberelli e figura femminile nuda seduta su sedia con ramoscello, figura femminile stante con serto e patera; sopra, figura femminile seduta al suolo con kalathos Pittore C.A., Cuma A (330 a.C.) Altezza cm 46, diam. 23 Inv. 1809; acquisto da F. Petracco 16-2-1904

Vetrina MG2

CERAMICA APULA INDIGENA

È ampiamente accettato che i popoli occupanti l’intera Puglia, in età preromana, si chiamavano Iapigi; tuttavia essi si distinguevano in tre sottogruppi etnico-culturali: Dauni, Peucezi e Messapi (Polibio, III, 88,4), che andarono progressivamente differenziandosi nel tempo. Anche la loro produzione vascolare mostra tre affini, ma ben distinte, classi di “ceramica sub geometrica”.

LA COLLEZIONE OSTROGOVICH

Il primo nucleo delle raccolte classiche, composto dai vasi e altri oggetti dalla Puglia, costituiva la collezione dei fratelli Francesco e Ferdinando Ostrogovich. Acquistata dal Comune di Trieste il 3 novembre 1871, era composta da 361 oggetti “rappresentanti i diversi stili e le diverse fasi del progresso dell’arte ceramica” (XXXI Seduta del Consiglio, 30 ottobre 1871). I due fratelli triestini erano residenti a Lecce, dove avevano una Casa di Commercio, e per passione fecero eseguire degli scavi soprattutto nell’antica Rudiae; acquistarono inoltre materiali ritrovati a Carvinium e a Caeliae.

Rudiae

L’antica Rudiae era situata a 3 km a sud-ovest di Lecce, in località Rugge o Rusce, ed è nota per aver dato i natali al poeta romano Quinto Ennio (239-169 a.C.). Vi è documentata la presenza umana nella prima età del ferro (IX-VIII sec. a.C.) e poi dalla fine del VI e soprattutto dal V al II secolo a.C., quando divenne municipio romano. Su un’ ampia spianata all’interno del circuito delle mura antiche, tombe a camera scavate nella roccia si alternano a tombe a cassa o a fossa. Sono documentati inoltre ipogei con tracce di decorazione dipinta risalenti alla fine del IV e a tutto il III secolo a.C.

Ceglie Messapica

Il sito di Ceglie messapica, Caeliae in latino, si trova tra Ostuni e Grottaglie; ha restituito ricchi corredi tombali, ma non è più documentato dopo la seconda guerra punica (218-202 a.C.). Carovigno Il paese di Carovigno è stato identificato con la città messapica di Karbina (Carvinium in latino) e vi sono stati messi in luce corredi tombali ora esposti al museo di Brindisi.

LE TOMBE A CAMERA O SEMI-CAMERA

Gli ipogei scavati nel banco di tufo calcare sono noti in ambito messapico, oltre che a Rudiae, solo a Egnazia (l’antica Gnathia). Erano costituiti da una camera sepolcrale generalmente chiusa da battenti monolitici, in alcuni casi girevoli su cardini ricavati negli stessi blocchi, inseriti in incassi sull’architrave e sulla soglia. Alla camera si accedeva tramite un vestibolo, preceduto da un corridoio (dromos) a gradini intagliati nella roccia, posto in asse o trasversale. La tomba veniva utilizzata per più generazioni dallo stesso nucleo familiare di rango elevato (le sepolture precedenti erano accantonate in una nicchia della parete o all’esterno della tomba, accompagnate dagli elementi del corredo). Le sepolture testimoniano l’adozione di rituali greci, come la deposizione supina del defunto inumato posto su letti lignei o sulle banchine ricavate nella parete; quest’usanza sostituisce quella tipicamente indigena di deporre i corpi in posizione rannicchiata, che in alcuni insediamenti come Ceglie Messapica sopravvive per tutta l’Età Ellenistica (IV-III secolo a.C.). Nel vestibolo, o fuori dalla tomba, si svolgevano riti di libagione, tanto al momento della sepoltura che in tempi successivi: il consumo di cibo e bevande, con contestuale offerta al defunto, è documentato da resti di cibo in alcuni vasi, dalla presenza di veri servizi da tavola e dall’offerta di frutta fittile, come le melegrane (simboli della continuità della vita oltre la morte). I ricchi corredi del IV-III secolo a.C. accostano vasellame di importazione greca e apula a figure rosse (vetrine MG3-4 e MG6) e vasi indigeni con decorazione geometrica, come le trozzelle (MG2), a ceramica a vernice nera con motivi sovraddipinti dello stile di Gnathia (MG5).

Vetrina MG2 parte superiore

CERAMICA MESSAPICA

Le ceramiche prodotte in Messapia (Salento) dal VII alla prima metà del III secolo a.C. sono definite “sub geometriche messapiche”. Già dal VII e soprattutto nel VI secolo a.C. si erano diffusi in Messapia vasi importati dal mondo greco, torniti e decorati con semplici fasce e linee orizzontali, che presto vennero imitati dai vasai indigeni. Il repertorio delle forme, già in origine abbastanza limitato, si ridusse progressivamente. Partendo dalla prima fase di sviluppo, una delle forme principali è l’olla o anforetta con alte anse angolose, da cui si sviluppa, con l’aggiunta delle caratteristiche rotelle, la trozzella (vaso per contenere l’acqua), che rimarrà il vaso più caratteristico della ceramica messapica. Altre forme comuni sono la brocca con collo alto e stretto e l’olla con due o quattro anse a piattello, chiamata anche “cratere messapico”. Una più complessa trasformazione si osserva nella decorazione, la quale, fin dall’inizio, si presenta sia monocroma (nero), sia bicroma (nero e rosso) sulla parete chiara del vaso. Dagli esemplari più antichi, legati ancora alla ricca tradizione geometrica della fase precedente, si passò, attraverso un graduale ma evidente impoverimento, a vasi decorati con motivi geometrici rari e ripetuti. Il IV secolo a.C. è dominato da un’esuberante decorazione di tipo vegetale-floreale. La trozzella, di prevalente destinazione funeraria, accompagnava le deposizioni femminili appartenenti a un ceto emergente: alla donna era infatti demandata, assieme alle altre attività domestiche come la tessitura, la gestione dell’acqua.
Trozzella Seconda metà del V sec. a.C. Altezza cm 16,5 con anse 22,7; diam. ventre 15, perif. 47 da Rudiae, acquisto Ostrogovich 1871, n. 224
Brocca Altezza cm 19,5; diam. massimo 16,7 IV sec. a.C. Collezione Grecia 324 (RA 21363); da Rudiae, acquisto Ostrogovich 1871
Olla con due anse verticali in forma di scalpello unite al labbro mediante rotella Altezza cm 29,5; con anse 31, diam. ventre 32,5 Terzo quarto del V sec. a.C. Collezione Grecia 43; da Rudiae, acquisto Ostrogovich 1871

Vetrina MG2 parte inferiore

CERAMICA TORNITA A FASCE

I vasi prodotti in Apulia con semplice decorazione a fasce sono caratteristici e derivano da quelli greci a fasce, importati nel VII secolo a.C.

CERAMICA DORATA O ARGENTATA

Due piatti con elaborata decorazione a rilievo appartengono alla ceramica che imitava i recipienti in metallo, anch’essa di ispirazione greca. Realizzati già dalla metà del IV fino ai primi anni del III secolo a.C., hanno fondo uniformemente bianco, detto latte di calce o scialbato, sul quale a pennello veniva steso il colore che imitava l’argento e il bronzo dorato.

Vetrina MG3-4

CERAMICA APULA A FIGURE ROSSE

I vasi esposti nella doppia vetrina MG 3-4 costituiscono un campione relativamente omogeneo, per cronologia, per temi rappresentati e per forme vascolari, della produzione apula tra gli ultimi anni del V e la fine del IV secolo a.C. Moltissimi sono i vasi di quella produzione corsiva e ripetitiva, evidentemente molto apprezzata dalla classe benestante dell’Italia meridionale. I vasi sono attribuiti ad alcuni tra i primi e maggiori pittori attestati. Alla fase iniziale delle figure rosse apule appartengono, ad esempio:
  •   il Pittore di Tarporley (cratere a colonnette del 380-360 a.C.)
  •   e il suo seguace, il Pittore di Digione (cratere a campana del 380-360 a.C.)
Altri artisti rappresentano lo sviluppo della ceramografia apula, tanto dello stile cosiddetto piano che di quello ornato. Sono qui presentati per temi, in particolare quello del mondo dionisiaco (vetrina MG3-4 in alto), quello dei rituali funerari (vetrina MG3-4 in basso) e il mondo del gineceo in cui viveva la donna italica aristocratica che aveva adottato la moda venuta dalla Grecia (vetrina MG6).
Cratere a colonnette a figure rosse Lato A: partenza di guerrieri, donna stante con offerte, guerriero seduto con spada e lancia, donna stante offerente, guerriero con scudo e lancia Lato B: satiro tra due menadi con rhyton Pittore di Tarporley (370-360 a.C.) Altezza cm 46, diam. 32 Inv. S.394; legato Sartorio 1910
Cratere a campana a figure rosse Lato A: corteo con Dioniso nudo con tirso e kantharos, satiro e menade con fiaccola e crotali Lato B: tre giovani ammantati Pittore di Digione (seguace del Pittore di Tarporley; 380-360 a.C. circa) Altezza cm 44,5; diam. 42,5 Inv. S.395; legato Sartorio 1910

LE FORME DEI VASI

Il cratere a campana sembra fosse usato, in ambito apulo, per bere vino alla greca (diluito in acqua) nel corso del culto dei morti. Le hydriai e le oinochoai, che servivano per attingere i liquidi, erano anche utilizzate per i rituali funerari; la pelike era il contenitore per il trasporto dei liquidi, mentre le lekythoi contenevano principalmente unguenti ed essenze, ma non si conosce la loro esatta funzione nel rituale funerario.

Vetrina MG3-4

VASI APULI A FIGURE ROSSE L’OFFERTA FUNEBRE

Nella seconda metà del IV secolo a.C. in Apulia le tombe erano del tipo a camera ipogea a più stanze. Ricco era il corredo costituito da armi e soprattutto dal vasellame. Quest’ultimo formava il servizio utilizzato nel corso delle cerimonie presso la tomba o faceva direttamente parte del corredo stesso: in una tomba aristocratica di Canosa di Puglia sono stati rinvenuti più di 400 vasi tra dipinti e acromi. Nel vasellame di corredo molti erano i pezzi di minor misura, realizzati anche con tecnica sovraddipinta e a vernice nera, usati normalmente nella vita quotidiana. Tra questi, tuttavia, spicca almeno una coppia di grandi vasi di prestigio con scene dipinte figurate, destinati ad arricchire il cerimoniale funerario con espliciti riferimenti alla celebrazione del rango o alla salvezza personale: trasportati trionfalmente nel corteo funebre manifestavano la ricchezza raggiunta dal defunto. Anche il ceto medio non rinunciava ai vasi simbolici. Così, pure in tombe non aristocratiche, il corredo era formato da una coppia di grandi vasi di prestigio, molte coppe per bere, oinochoe dal lungo collo per versare e molto vasellame di uso corrente.

CELEBRAZIONE DEL DEFUNTO EROICIZZATO

Dal 360-350 a.C. – forse su invenzione del Pittore dell’Ilioupersis – sui grandi vasi appare, sovraddipinto in bianco, il naìskos (o heròon), un’edicola a colonne ioniche, con timpano ornato da palmette alle estremità e con soffitto a travi, più o meno elaborata e posta su alto podio. Si ritiene rappresenti un surrogato molto più economico del naìskos vero e proprio, che veniva eretto sopra la tomba (testimoniato dai frammenti lapidei rinvenuti a Taranto). All’interno dell’edicola trova posto il defunto, anche egli sovraddipinto in bianco, e ai lati dell’edificio stanno gli offerenti in atto di porgere doni, ricchi di significato esemplare e beneaugurante per il defunto. L’edicola viene considerata come la dimora regale in cui il defunto vive la sua nuova vita nei Campi Elisi; è il luogo in cui viene celebrato il defunto eroicizzato, rinato in un mondo ultraterreno. La sua immagine appare come il ritratto del defunto stesso, sia si tratti di un uomo aristocratico che di una donna di rango. Gli uomini sono accompagnati da armi da parata, simboli di appartenenza a un ceto di rango piuttosto che legati alla reale attività bellica. Al momento della sepoltura di uno dei componenti della élite politica locale, l’intera comunità si univa per assistere alle cerimonie in cui i vasi, commissionati per l’occorrenza o già in possesso della famiglia, venivano esposti e in parte impiegati nel rituale, quindi sistemati nella tomba. Il funerale era un’occasione per l’affermazione del ruolo politico-sociale rivestito in vita dal defunto e ancora svolto dalla casata di appartenenza.

OFFERTE FUNEBRI ALLA TOMBA

Sul lato opposto del vaso è raffigurata la tomba con una stele o ara, decorata da nastri e ghirlande, alla quale personaggi femminili e maschili, in mesto raccoglimento, fanno le offerte funebri. Queste scene sono legate al culto che veniva dedicato al sepolcro dalla famiglia, garanzia di un aldilà beato.
Cratere a volute a figure rosse con mascheroni con anse terminanti a teste di cigno Lato A: defunto eroicizzato: su un basamento modanato, in un’edicola frontale, sta un giovane guerriero in piedi che tiene alla briglia un cavallo; ai lati quattro offerenti seduti rivolti al centro Lato B: come sopra, ma nel tempietto; due fiori campanulati sovrapposti e palmetta Pittore di Ganimede (340-330 a.C.) Altezza cm 77, diam. 35,8 Inv. S.494; legato Sartorio 1910
Anfora panatenaica a figure rosse, con particolari in bianco e giallo Sul collo, spalla e basso piede: fasce a fiori, onde marine, serti d’edera e meandri Lato A: defunto eroicizzato: all’interno di un’edicola, un giovane nudo seduto, con lancia e patera, situla e serto; a sinistra, donna vestita di chitone con phiale e uva; a destra, giovane nudo con situla e phiale Lato B: scena di offerta: cippo con acroteri, ai lati due donne vestite di chitone con uva e phiale Pittore della Patera (340-320 a.C.) (già Gruppo delle Anfore) Altezza cm 76,5; diam. 22,7 Inv. S.381; legato Sartorio 1910

Vetrina MG3-4

VASI APULI A FIGURE ROSSE IL MONDO DI DIONISO

Nella ceramografia attica le scene a carattere dionisiaco, che hanno come protagonisti il dio Dioniso e il suo seguito, sono state in assoluto le più rappresentate. Tra le diverse botteghe appare evidente la circolazione di repertori figurativi, di modo che le scene tendono a cristallizzarsi, andando a perdere di originalità e impegno decorativo. Se la vite, il vino e l’ebbrezza sono ritenuti, da sempre, elementi caratteristici del dio, sui vasi il mito è legato al momento conviviale del simposio, ma contemporaneamente viene interpretato anche in funzione funeraria, a richiamare la felicità dionisiaca che attendeva il defunto dopo la morte. In tal senso le figure del satiro e di Eros fungerebbero da guida per il defunto, che in alcuni casi può essere identificato con lo stesso Dioniso, mentre la defunta con la sua sposa, Arianna. Il ciclo del vino è espressione della transitorietà, metafora del passaggio dell’uomo da uno stato ad un altro, tanto nelle fasi della vita che nella morte.

Dioniso

Il dio Dioniso è un’entità imprescindibile nella cultura greca, dov’è caratterizzato da molteplici sfaccettature e contraddizioni. La sua immagine non compare in Grecia che in età abbastanza tarda, non prima della fine del VII secolo a.C., e ciò può essere giustificato dal fatto che il culto più antico doveva essere fondamentalmente aniconico (privo di immagini) rivolto a un tronco di legno o a una sua maschera. L’iconografia arcaica di Dioniso lo mostra ritratto stante o seduto, dai tratti di un uomo adulto, barbato, con il capo coronato di edera e vestito con un lungo chitone (un tipo di tunica), coperto solitamente da un himation (manto); i suoi attributi sono il corno potorio, o rhyton, e il tralcio di edera o di vite. Dalla seconda metà del V secolo a.C. si afferma la figura del giovane Dioniso gioioso ed effeminato. La nuova immagine venne stabilita dalla decorazione del Partenone (ultimato nel 432 a.C.), dove il dio è rappresentato con figura giovane e di corporatura atletica, con i capelli tenuti in un’acconciatura raffinata. Il corno potorio viene sostituito dal kantharos (coppa su calice dotata di ampie anse).

Temi dionisiaci

Sui vasi sono comuni le scene di genere, non narrative, in cui Dioniso è con Arianna ed è accompagnato nel corteo, o tiaso, dai satiri e dalle menadi. Le menadi, chiamate anche baccanti, sono ricordate dalle fonti letterarie sia come nutrici del dio, sia come le seguaci che compiono in suo onore riti orgiastici. Rimane poco chiara la differenza tra satiri e sileni, termini che indicherebbero lo stesso tipo di creature a metà tra uomo e cavallo (i sileni) o tra uomo e capra (i satiri). Quest’ultimi sono considerati, secondo Euripide, figli di Sileno. Menadi e satiri partecipavano alle processioni in onore di Dioniso suonando timpani (tamburelli) e cembali (piccole nacchere). Come attributi reggono contenitori per il vino (solitamente situle con grande manico arcuato), fiaccole (i riti si svolgevano di notte) e il tirso: un lungo bastone con in cima un ornamento composto da una pigna o un mazzo d’edera o di vite. Mentre il ramo fiorito, la pianta non manipolata, è il nartex. Cratere a campana a figure rosse Lato A: corteo dionisiaco: satiro nudo con situla e nartex (ramo fiorito); menade con nartex; Dioniso con kantharos e nartex Lato B: tre giovani ammantati Pittore dei Nasi Camusi, fase finale (350 a.C.) Altezza cm 41,5; diam. 42,8 Inv. S.398; legato Sartorio 1910
Cratere a colonnette a figure rosse Lato A: giovane/Dioniso con tirso e rhyton; menade danzante con timpano; satiro con fiaccola spenta e situla Lato B: tre giovani ammantati Pittore di Atene 1714 (scuola del Pittore di Tarporley; 360-350 a.C.) Altezza cm 39,; diam. 29,6 Inv. 1796; legato Oblasser 15-2-1916

Vetrina MG5

CERAMICA DI GNATHIA

Con il termine ceramica “di Gnathia” viene definita convenzionalmente una classe ceramica prodotta in Italia meridionale, nata probabilmente a Taranto intorno alla metà del IV secolo a.C., che si contraddistingue per la decorazione policroma sovraddipinta in bianco, giallo e rosso, talora associata al graffito, e direttamente applicata sulla superficie nera dei vasi.
L’esaurirsi della produzione, già fatto risalire al 272 a.C. (data della conquista romana di Taranto), viene ora, per i recenti risultati di scavo, posticipato, avendo riconosciuto la continuazione della produzione per tutto il III e il primo quarto del II secolo a.C.

In base all’esecuzione tecnica e stilistica della decorazione sono state identificate mani di singoli pittori e riconosciuti, oltre a Taranto, altri centri pugliesi di produzione, quali Ruvo e Canosa.


Soggetti e uso

Tra i soggetti, la figura umana è presente raramente e solo nel periodo iniziale, per un breve arco di tempo, dopodiché lascia il campo a rappresentazioni animali e vegetali.
Nella fase più tarda di produzione, la decorazione si riduce ad una semplice sovraddipintura in bianco.

Per i vasi “di Gnathia” si riconosce un uso nei corredi funebri: nelle tombe, per lo più a fossa, foderate in lastre di tufo talvolta intonacate e dipinte, trovavano posto a terra accanto al defunto oppure venivano appesi alle pareti.

Oltre alla sfera funeraria, i vasi “di Gnathia” rimandano per la maggior parte, sulla base della forma e delle decorazioni, al contesto conviviale del simposio e al contesto rituale ad esso connesso, ovvero quello dionisiaco. La fila di punti terminante con una nappina sta, infatti, a rappresentare le catenelle appese ai vasi o ad altri oggetti durante i banchetti; così come i “tremuli” giallo-rossi, inizialmente, sono la rappresentazione dei nastri di lana rossi e gialli che erano indossati dai banchettanti o che potevano essere appesi alle pareti della sala o al collo dei vasi. Collegati, infine, al contesto del consumo del vino sono i viticci e i grappoli di uva.
Il motivo della maschera tra rami secchi trova sulla ceramica “di Gnathia” la più frequente rappresentazione.

Altri motivi sono gli oggetti del mondo muliebre (gomitoli, vasi e strumenti musicali), la colomba e i cigni, mentre insolita è la figura del cane, che potrebbe avere una valenza ambigua: di richiamo alla vita in scene di simposio o di caccia (come rappresentato sui vasi attici) o di riferimento alla morte, come guardiano dell’aldilà o della tomba stessa.


Coppa emisferica con pesci a vernice nera, a tratti più chiara e tendente al rosso, con sovraddipinture in bianco crema, giallo ocra e rosso amaranto ed incisioni.
III sec. a.C.
Altezza cm 4,2, diam. 14,9
Inv. S.474; legato Sartorio 1910


Bombylios o unguentario a bottiglia con figura femminile a vernice nera con sovraddipinture in bianco crema, giallo oro e rosso amaranto ed incisioni.
325-300 a.C.
Altezza cm 14,5, diam. 8,5
Inv. 7628, Collezione Grecia 598; da Gnathia, dono G. Mondolfo, 22-5-1894


Skyphos con cane a vernice nera con sovraddipinture in bianco crema, giallo ocra e rosso amaranto ed incisioni.
330-320 a.C.
Altezza cm 11, diam. 9,7
Collezione Grecia 242; dall’Apulia, Acquisto C. Battistella, 31-1-1877


Vetrina MG6

VASI APULI A FIGURE ROSSE
IL MONDO DELLA DONNA

Nella ceramica apula, dalla seconda metà del IV secolo a.C., si accentuò la tendenza verso un colorismo di maniera, rivolto più all’effetto che all’alta qualità formale, con l’aggiunta di molti colori sovraddipinti.
In questa fase un gran numero di vasi venne dedicato al mondo femminile, in quanto nell’articolata struttura sociale delle colonie italiche la posizione femminile raggiunse maggior potere e dignità.
Il repertorio si presenta monotono, ma non ripetitivo, con la predilezione di scene di conversazione tra donne, oppure colloqui amorosi e scambio di doni, quali ciste, cassettine decorate, patere e piatti sul cui orlo si intravvedono file di punti, interpretabili come uova o frutti o dolci. Le donne reggono in mano specchi, corone vegetali, serti di fiori.

L’immagine della donna

Seduta su roccia o capitello (forse con significato sacrale) la donna è spesso colta nell’atto di compiere una rotazione del corpo, in un’evidente ricerca di spazialità, o è fermata nello slancio della corsa.
Il suo abito è descritto minuziosamente: indossa una leggera, quasi impalpabile, veste – o chitone – decorata in rosso, fermata alle spalle da fermagli, cinta alla vita da un’alta cintura o trattenuta morbidamente sotto il seno, per ricadere in fitte pieghe verticali che lasciano intravvedere il corpo. Sopra è indossato un mantello, o himation, di stoffa altrettanto sottile, sapientemente avvolto intorno al corpo in un elaborato panneggio: trattenuto sulla spalla, passa sul davanti fino al braccio opposto. Ai piedi porta calzari chiusi.
I suoi capelli lunghi e riccioluti sono raccolti sulla nuca da una sphendone (reticella), o in un un kekryphalos (fascia o coroncina) dal quale sfuggono riccioli intorno al volto e una crocchia sulla nuca.
I gioielli, collane, bracciali (anche alle caviglie), orecchini e fili tra i capelli, spiccano in quanto resi in bianco, giallo e rosso, sovraddipinti con veloci tocchi di pennello.

L’immagine di Eros alato androgino

Accanto alla donna appare la figura androgina di Eros dalle grandi ali, ambiguamente adorno di perle e bracciali e acconciato in modo femmineo.
La presenza di Eros si diffonde nel mondo femminile rappresentando una sorta di glorificazione della donna: Eros appare in scene di vita quotidiana nel gineceo, e nei riti di preparazione al matrimonio. Così nella toletta nuziale la sua presenza ha una valenza rituale, sottolineando il momento del bagno lustrale che, precedendo le nozze, purificherà la sposa e nel contempo, per la forza vitale e benefica attribuita all’acqua, porterà fecondità alla sua unione.
Eros unisce in sé la valenza amorosa a quella salvifica: è donatore di vita e forza, capace di sconfiggere la morte ed è pertanto ostentatamente vicino al mondo di Dioniso (evocato dalla presenza di grappoli e foglie di vite).
Legati a Afrodite e Eros sono inoltre il cigno, la colomba e la corona di mirto: simboli del perenne fluire della vita.


Pelike a figure rosse
Lato A: fanciulla seduta su capitello ionico con palla e specchio nelle mani; giovane nudo poggiato a bacile marmoreo con tirso e cofanetto; in alto Eros alato nudo con serto fiorito
Lato B: fanciulla con timpano e serto; giovane nudo seduto con tirso e patera con grappolo
Gruppo di Tarrytown (cerchia dei Pittori di Dario e dell’Oltretomba; 340-320 a.C.)
Altezza cm 36, diam. 17
Inv. 2113, collezione Grecia 42; acquisto Battistella


Cratere a colonnette a figure rosse
Sul collo: serto d’edera
Lato A: Eros stante con patera, serto e situla nelle mani; donna seduta su rocco di colonna con capitello ionico, regge un ventaglio e una palla e un serto d’alloro
Lato B: due giovani ammantati con cippo al centro
Pittori di Eumenide e Bologna 501 (370-350 a.C.)
Altezza cm 48,5; diam. 37
Inv. S.390; legato Sartorio 1910


Kylix a figure rosse
Lato A: donna semisdraiata in chitone con cofanetto e grappolo d’uva
Lato B: Eros in volo con palla e grappolo d’uva
Interno: Eros in corsa con situla e palla
Pittore di Ganimede (330-300 a.C.)
Altezza cm 5,2; diam. 14
Inv. S.463; legato Sartorio 1910


Teste femminili

Molti vasi sono decorati con teste femminili le cui complesse acconciature si allungano in sapienti ed elaborate costruzioni che terminano in uno chignon. Intorno lo spazio è riempito da ghirlande o decorazioni vegetali, che alludono al contesto di un aldilà beato.

Kantharos situliforme privo di stelo a figure rosse con dettagli in bianco
Lato A e B: testa femminile con un nastro tra palmette
Pittore delle Anfore (330-300 a.C.)
Altezza cm 10,4; diam. 10
Inv. S.545; legato Sartorio 1910


Vetrina al centro

Pittore di Licurgo

L’Anfora panatenaica a figure rosse di produzione apula, nella vetrina ovale al centro della sala, si segnala per l’eccezionale stato di conservazione e per la maestria del suo artefice, il Pittore di Licurgo: una delle grandi personalità della fase dell’apulo medio, allievo del Pittore dell’Ilioupersis, attivo tra il 360 e il 340 a.C. con sua officina e scuola, forse ancora a Taranto.
Le sue caratteristiche stilistiche sono la predilezione per la rappresentazione dei volti visti di tre quarti e l’uso esteso dei bianchi e dei gialli aggiunti. I volti hanno spesso un aspetto sofferente, derivante dai contemporanei scultori della scuola di Skopas; tuttavia è rilevabile nel suo stile una certa dose di manierismo e di artificiosità. I temi preferiti sono mitologici, teatrali, nuziali o erotici.

Sull’anfora, incorniciate da fasce a motivi vegetali, si svolgono, sulle due facce del corpo ovale, due scene mitologiche:
Su un lato, in una animata composizione, distribuita su due piani, davanti a un Heroon con timpano, i greci combattono contro le Amazzoni.
Sull’altro c’è la caccia al cinghiale Calidonio che è anch’essa distribuita su due piani, ruotando intorno alla figura centrale dell’animale colpito con la lancia da Meleagro, mentre a destra, sta a terra Ankaios ferito. Nella fascia superiore sono i Dioscuri e Atalanta che scocca la freccia.

Anfora Panatenaica a figure rosse
Lato A: caccia al cinghiale Calidonio
Lato B: amazzonomachia
Pittore di Licurgo (360-350 a.C.)
Altezza cm 78; diametro massimo 35,5; diam. bocca 22; piede 18
Inv. S.380; legato Sartorio 1910

Le Collezioni

L’Orto Lapidario

Giardino del Capitano

Lapidario Tergestino

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