Quando le sirene avevano le ali

Aryballos corinzio del VII-VI secolo a.C. raffigurante una sirena: Sala dei Vasi Greci del Museo d’Antichità Winckelmann di Trieste.

Uno dei più noti contenitori di profumi o oli nell’antichità aveva forma sferica dotata di un piccolo foro e una larga imboccatura, funzionale a distribuire il liquido sulla pelle: viene detto aryballos.
A Forlì, presso i Musei San Domenico, è stata inaugurata il 14 febbraio (e resterà allestita fino alla fine di ottobre 2020) la mostra “Ulisse. L’arte e il mito” che vuole ricostruire la fortuna iconografica nei secoli di questo eroe omerico.

L’aryballos del nostro museo, produzione corinzia tra VII-VI secolo a.C., che ci è stato richiesto in prestito, presenta una figura dipinta, un essere dal corpo di uccello con testa di donna, una delle mitiche sirene. Nel mondo greco le sirene non nascono come creature marine, ma stanno appollaiate su rupi e scogli, ed hanno parte superiore di donna e corpo di uccello, animale dalla consistenza aerea e dal canto meraviglioso.

Ulisse sfiderà la loro soave voce che ammalia e incanta i sensi: chi le ode non può resistere alla tentazione di fermarsi, interrompendo il proprio viaggio terreno. Omero racconta che cantavano così: “… vieni … nessuno è mai passato di qui con la nera nave senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose”.

Diverse leggende mitiche raccontano che le sirene, sconfitte nella gara di canto che le vedeva contrapposte a Orfeo o alle Muse, si strapparono le penne e si suicidarono gettandosi in mare. Oppure furono trasformate dall’ira di Demetra in mostri per non aver soccorso la figlia Persefone quando la rapì il Signore degli inferi, Plutone.

Deve essere ricordato che le sirene con coda di pesce sono caratteristiche dal Medioevo in poi, quando dall’VIII secolo la donna-pesce rappresenterà l’ammaliatrice per i peccatori cristiani nel “mare delle tentazioni”.

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