L’oppio degli antichi

L’epidemia del Corona Virus ha interrotto bruscamente la bella mostra dal significativo titolo di “Veleni e magiche pozioni. Grandi storie di cure e delitti”, allestita presso il Museo Nazionale Atestino (inaugurata il 19 ottobre 2019). 

La mostra raccontava la storia della farmacopea dall’antichità ad oggi, tra testimonianze archeologiche e iconografiche, analisi delle fonti storiche, fino alla moderna ricerca medica. Il punto di partenza era la coscienza, rintracciabile già sin dal Paleolitico, di un mondo vegetale ed animale che fornisce sostanze utili alla sopravvivenza: le prime sperimentazioni mediche, che passano attraverso la conoscenza di ciò che fa male e di ciò che fa bene.

Coppia di brocchette cipriote della collezione del Museo triestino, realizzate tra 1500-1050 a.C.: Sala Cipriota del Museo d’Antichità Winckelmann di Trieste.

 

La presenza di oppiacei fin nei siti palafitticoli svizzeri del IV millennio a.C. ne documentano l’uso come antidolorifico. Il ritrovamento di semi di oppio in un’ampia distribuzione lungo le rotte commerciali del Mediterraneo ne evidenziano la richiesta.

Analisi archeometriche hanno dimostrato la presenza di un composto a base oppiacea entro alcuni contenitori che richiamano la forma della capsula dell’oppio: sono del tipo delle due brocchette cipriote della collezione del Museo triestino, esposte in mostra. Realizzate nell’isola di Cipro tra 1500-1050 a.C. erano infatti deputate a contenere il prezioso prodotto, un bene di lusso di altissimo valore, che così veniva commercializzato in tutto il Mediterraneo.

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