Eracle cattura il mostro Cerbero

Tra le Discese mitologiche la più famosa è forse quella di Eracle (Ercole per i romani), durante la sua ultima fatica.

Per espiare la colpa tremenda di aver sterminato moglie e figli in un raptus di follia indotta dalla gelosa Era, Eracle si mette al servizio di suo cugino Euristeo, sovrano di Tirinto e di Micene, così come suggerito dall’oracolo di Delfi. Il re gli ordina di compiere una serie di imprese molto dure e pericolose, conosciute dai posteri come le leggendarie fatiche dell’eroe. L’ultima, la dodicesima, è la più ardua: catturare vivo Cerbero, il terribile cane a tre teste a guardia dell’oltretomba.

L’eroe raggiunse Tenaro laddove una buia spelonca introduceva a una delle porte dell’Ade. Sotto l’autorevole guida di Ermes egli si addentrò in quel gelido mondo sotterraneo.

Il dio Ade, conoscendo personalmente l’arditezza dell’eroe, che aveva steso con pochi colpi il suo mandriano, si convinse che valeva la pena di ascoltare le sue ragioni. Acconsentì così a dargli il cane Cerbero, a patto però che Eracle riuscisse a domarlo con le sole mani, senza usare armi. Così, dopo una lotta estenuante, Cerbero fu costretto ad arrendersi quando Eracle riuscì a serrargli tra le potenti braccia la base dei tre colli. Euristeo, vedendo Eracle tornare con il mostro infernale sulle spalle, si sentì morire per la paura e ordinò che Cerbero venisse rimandato presso l’Ade.

Ovidio libro VII

C’è una spelonca il cui ingresso è occultato
dalla foschia: da qui, lungo una via scoscesa, Ercole, l’eroe
di Tirinto, trascinò fuori, stretto in catene d’acciaio, Cerbero,
che s’impuntava e storceva gli occhi non sopportando
gli accecanti raggi del sole: dibattendosi come una furia
per la rabbia, il mostro riempì il cielo di un triplice latrato,
cospargendo l’erba dei campi di bava bianchiccia.
E si pensa che questa, coagulandosi, trovasse alimento
nella fertilità del suolo e divenisse un’erba velenosa,
che nasce rigogliosa in mezzo alle rocce, ed è chiamata per questo
acònito dai contadini.

Vedi Wikipedia alla voce “Eracle”; Ovidio … come sopra

Teseo, Piritoo e la sedia dell’oblio

Presso le porte dell’Ade Eracle trovò inoltre due uomini legati, che riconobbe molto presto. Erano Teseo, suo compagno in molte precedenti avventure, e Piritoo, il re dei Lapiti. Entrambi erano scesi nel mondo sotterraneo con il fine di rapire Persefone.

Piritoo aveva convinto Teseo, rimasto da poco vedovo, a rapire Elena, la figlia di Zeus e Leda e sorella dei Dioscuri. Quindi condotto a buon fine questo rapimento, giocarono a sorte chi tra loro l’avrebbe sposata; ne uscì vincitore Teseo. Di conseguenza decisero di rapire un’altra figlia di Zeus da assegnare a Piritoo.

I due amici si recarono a Delfi a chiedere indicazioni all’oracolo, che ironicamente disse loro: “Perché non scendete nel Tartaro per chiedere che Persefone, la moglie di Ade, diventi la moglie di Piritoo? Lei è la più nobile delle figlie di Zeus”. Piritoo prese sul serio il responso e così andarono e una volta penetrati nell’Oltretomba chiesero udienza al palazzo di Ade. Il dio degli inferi li accolse e stette a sentire la sfrontata motivazione della loro venuta; simulando quindi cordiale ospitalità li fece accomodare su due sedie, ma aveva preparato per loro una trappola. Quelle erano infatti le “sedie dell’oblio”: appena qualcuno si fosse seduto su una di esse sarebbe divenuta carne della carne del malcapitato, il quale quindi non avrebbe mai più potuto liberarsi.

Passarono quattro anni in cui i due rimasero così imprigionati, finché Eracle, sceso nel Tartaro per catturare il cane Cerbero, espresso il desiderio di liberare Teseo, ebbe concessa la possibilità di tentare per volontà di Persefone, che lo accolse in qualità di fratello. Eracle dunque si avvicinò alla sedia e iniziò a tirare, finché, con uno strappo lacerante riuscì a liberare Teseo. Poi tentò di liberare Piritoo, ma la terra cominciò a tremare: Eracle dunque desistette e Piritoo restò nel Tartaro per sempre.

Secondo Virgilio, quando Teseo morì gli dèi inferi lo condannarono nuovamente a restare ancorato alla “sedia dell’oblio”, e questa volta definitivamente.

Vedi Wikipedia alla voce “Teseo e Piritoo”

Specchio in bronzo e argento

Lo specchio presenta sul retro una decorazione figurata in rilievo che viene interpretata come l’allattamento di Ercole per opera di Giunone (dea seduta in trono che allatta un bambino) con accanto una donna in piedi (Minerva?) e dietro un uomo alato e barbato (Hypnos/Somnus). Si tratta della trasposizione del momento cruciale secondo la versione tramandata da Igino (Astronomica, II, 43), istantanea dell’attimo successivo al ritrovamento da parte delle due dee del neonato Eracle/Ercole abbandonato dalla madre e precedente il violento approccio di lui che Giunone istintivamente allontanerà del proprio seno morso con violenza: ne uscirà uno spruzzo dando origine alla Via Lattea (OV., Met., I, 169). Aver ricevuto il latte dalla dea renderà Eracle, figlio di Giove e una donna umana, immortale.

Specchio in bronzo e argento
I-II secolo d.C.
da Aquileia (Udine), 1912
diametro cm 10
inv. 1346

Oggetto prezioso posseduto in vita da una matrona, lo specchio oltre ad avere una funzione nella toletta, può essere interpretato come un auspicio per la procreazione di un figlio forte e sano; mentre inserito nel corredo funerario della stessa donna potrebbe alludere alla catabasi dell’eroe, rievocando significati aggiuntivi beneauguranti.

Considerata la rarità del ritrovamento di specchi decorati ad Aquileia, si propone una produzione campana o urbana nei primi due secoli della nostra era e quindi una importazione ad Aquileia.

Balsamario in ceramica a forma di testa di Eracle

Il balsamario è configurato a testa di Eracle con leonté (la pelle del leone Nemeo da lui ucciso nella prima delle sue dodici fatiche) indossata in modo che il suo volto pare uscire dalle fauci spalancate del leone.

Il tipo è ben rappresentato nelle produzioni della Grecia orientale; per confronti con altri balsamari provenienti da quell’area, pare probabile che si tratti di un’importazione nell’antichità dalla Grecia a Taranto, anche se considerata la qualità del rilievo non è da escludere nemmeno che si tratti di un prodotto tarantino, ottenuto con la tecnica del ricalco su un originale greco.

Seconda metà del VI secolo a.C.
da Taranto
altezza cm 7,3
inv. 4885, collezione Tarantina T.1083

Stamnos in ceramica attica a figure rosse

Lo stamnos (vaso in cui si mescolava il vino con l’acqua ed era posto al centro del banchetto) raffigura dieci dei sull’Olimpo colti nel momento in cui Eracle vi viene condotto da Atena e accolto da suo padre Zeus; tra loro, con la fiaccola, è Artemide; dietro a Zeus, con lo scettro e la corona, la moglie Era; segue a sinistra Dioniso, riconoscibile per il kantharos e il tirso; alle spalle di Eracle, Apollo suona la lira, Ebe danza portando una brocca (è la coppiera degli dei, destinata a divenire la sposa di Eracle stesso); quindi sono Poseidone con il tridente e Ermes con il caduceo, i calzari alati e il cappello da viandante.

Apoteosi di Eracle; Atena accompagna Eracle al cospetto degli dei
500-450 a.C. attribuito a Hermonax; Gruppo di Londra E 445
altezza cm 31
inv. S.424

Per tecnica e stile delle figure lo stamnos appartiene alla maniera di uno dei principali pittori di Atene del primo stile classico nella tecnica a figure rosse che è denominato Hermonax. A lui sono stati attribuiti 150 vasi, tra cui uno stamnos al British Museum di Londra molto simile al nostro.

Dipinto quasi 2.500 anni fa, per noi oggi è come un libro di mitologia greca che restituisce l’immagine dei personaggi che hanno accompagnato i nostri studi e dato vita alla nostra fantasia.

Stipe di Gretta

tra V-IV e II-I secolo a.C.
da Trieste presso Gretta

Deposito votivo rinvenuto nel 1904, sotterrato in un prato nel rione triestino di Gretta (lungo l’antica via di collegamento tra Aquileia e Tergeste). Detto Stipe di Gretta, era composto da una ventina di bronzetti mutilati e danneggiati intenzionalmente in antico che raffigurano Ercole secondo tre iconografie – “in riposo”, “combattente” e “bibax” (con il bicchiere) – databili nel lungo lasso di tempo dal V-IV al II-I secolo a.C. Si trattava forse di un deposito votivo offerto da un mercante romano, di probabile origine italica, che indicherebbe la presenza di un luogo di culto, un santuario all’aperto, dedicato al dio Ercole almeno dal IV secolo a.C.

Rilievo con figura di Ercole

L’eroe è raffigurato entro una grotta mentre regge la clava e con la sinistra la pelle del leone Nemeo (abbastanza leggibile). Il ritrovamento presso le cave fa pensare che si tratti di un Ercole Saxano (Sax ossia roccia), una divinità ben attestata nelle province orientali dell’impero romano e anche nella vicina Dalmazia; patrono di coloro che viaggiavano per zone montuose e impervie, era anche venerato come protettore di coloro che lavoravano nelle cave.

II-III secolo d.C.
da Aurisina 1842
altezza cm 95
inv. 2203

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