Il filosofo greco Platone in La Repubblica, scritta approssimativamente tra il 390 e il 360 a.C. narra a conclusione del libro X il mito di Er, i cui contenuti sono ispirati in maniera rilevante dal mito orfico e pitagorico della metempsicosi (reincarnazione delle anime). Qui però è presente l’affermazione di una nuova responsabilità morale dell’uomo nei confronti del proprio destino.
Il mito narra di Er, figlio di Armenio, un soldato valoroso originario della Panfilia, morto in battaglia che, mentre stava per essere arso sul rogo funebre, si ridestò dal sonno mortale e raccontò quello che aveva visto nell’aldilà. La sua anima appena uscita dal corpo si era unita a molte altre e camminando era arrivata in un luogo divino dove i giudici delle anime sedevano tra quattro aperture, due per chi andava e veniva dal cielo e le altre due dalle profondità della terra. I giudici esaminavano le anime e ponevano sul petto dei giusti e sulle spalle dei malvagi la sentenza ordinando ai primi di salire al cielo e agli altri di andare sotto terra.
Qui le anime espiavano le loro colpe. Chi in vita aveva commesso ingiustizie veniva punito con una pena 10 volte superiore al male commesso, mentre le buone azioni venivano premiate. Tutti i castighi inflitti erano temporanei, meno quelli riservati ai tiranni.
Le anime purificate dai loro peccati dopo aver viaggiato per 1000 anni uscivano dalle caverne e potevano scegliere tra un gran numero di modelli la loro prossima vita: sceglievano liberamente e a decidere non sarebbe stato pertanto solo il caso. Benché gli uomini accusino sempre la cattiva sorte, la causa dei dolori cui vanno incontro è il loro errato giudizio non avendo imparato dalle precedenti esperienze terrene.
Dopo aver compiuto la scelta, ogni anima riceveva il daimon, il genio tutelare, che avrebbe sorvegliato che si compisse la vita prescelta, quindi bevuta l’acqua del fiume Lete, l’acqua che dà l’oblio, un terremoto le gettava nella nuova vita.
Er poté raccontare come, conservando la memoria dell’esperienza passata, si può vivere serenamente una vita giusta e saggia in questo e nell’altro mondo.
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Aretta votiva ai Fati divini
II secolo d.C.
da Aquileia prima del 1870
altezza cm 61
inv. 31575
La dedica di questa aretta aquileiese è rivolta ai Fati divini e barbarici, entità connesse al Fato/Fatum: queste divinità che sovrintendono al destino degli uomini, probabilmente preromane, che ricorrono in ambiente celtico, vengono qui venerate con nome latino e secondo la consuetudine degli ex voto romani.