Questo particolare oggetto in terracotta viene detto rhyton, un tipo di bicchiere a forma di corno terminante a testa di diversi animali; qui di segugio, cane dal muso molto allungato e sottile, caratterizzato da arcate sopraorbitali sporgenti e occhi piccoli, e orecchie a padiglione. Poche pennellate di vernice nera e rosso-arancio evidenziano in modo rapido e sommario il pelo, l’interno delle orecchie, il contorno degli occhi e la pupilla, con un’unica linea la bocca.
Questo tipo di oggetto deriva dall’uso primitivo di bere nei corni ricurvi dei bovidi e prende il nome dal verbo greco che si traduce con “scorrere”, in quanto il liquido usciva da un forellino posto sotto il mento dell’animale. Generalmente realizzati in metallo, oro o argento (come il capolavoro del museo: vedi nella visita), i rhyta ebbero grande fortuna e furono riprodotti anche in ceramica (in questo caso sono privi del foro inferiore).
Questo del museo triestino, attribuito a bottega apula (della Puglia) alla metà del IV secolo, mostra un soggetto che ottenne un gran successo poiché l’animale era noto per l’abilità venatoria, ed era compagno dell’eroe nella caccia: deporre un tale bicchiere nel corredo funerario qualificava il defunto come membro dell’élite locale, nella sua adesione a forme di religiosità salvifica collegata a Dioniso e, insieme, ad Artemide.
È stato concesso alla mostra “Cani in posa. Tra Classicismo, Barocco e Novecento”, tenutasi nella reggia di Venaria Reale, Torino, tra 2018 e 2019. È stato alla mostra sulla via Postumia a Cremona nel 1998, e nel 2002 alle Scuderie di Miramare di Trieste in quella sull’arte di Efesto.