IL SOTTERRANEO
Tra 1930 e 1933, la Soprintendenza condusse uno scavo archeologico sul sagrato della Cattedrale, nell’angolo tra il campanile e la facciata, al fine di mettere in luce i resti dell’edificio romano parzialmente rimasto inglobato nella costruzione del campanile stesso (il campanile fu eretto in due fasi: la prima nel Duecento e la seconda tra 1337 e circa 1350). Durante gli scavi furono messi in luce la gradinata centrale e i resti della base dell’avancorpo destro di un propileo, o ingresso monumentale, del I secolo d.C. I resti romani furono restaurati e completati in mattoni.
Accanto vennero ritrovati i resti di una cripta sotterranea probabilmente sei-settecentesca, con la scaletta in pietra che dal piazzale, per mezzo di una botola (vedi nel pavimento della cattedrale le pietre con i fori delle catene che chiudevano le cripte sotto il pavimento della chiesa), permetteva di scendere per deporre le sepolture negli arcosoli disposti su due piani (perfettamente conservati, con alcune delle lapidi funerarie). Dalle fonti sappiamo che sul sagrato davanti alla Cattedrale vi era la tomba o cripta dei Confratelli del Santissimo Sacramento, all’interno del quale furono deposte le spoglie di J.J. Winckelmann: con buona approssimazione si può ritenere che sia proprio questa o comunque una simile esistente a brevissima distanza, ma ormai perduta.
A conclusione dello scavo fu deciso di permettere la visita a questi ritrovamenti, riposizionando il pavimento del sagrato su soletta di cemento e creando questo cunicolo per l’accesso dall’Orto Lapidario.
Il Propileo
Storia di un ritrovamento
Il primo tra gli storici locali a parlare delle “vestigia d’un sontuoso arco trionfale o altro maestoso edificio” inglobato nel campanile di San Giusto è Ireneo della Croce nella sua Historia antica e moderna, sacra e profana della città di Trieste, stampata a Venezia nel 1698.
Un vero e proprio intervento di scavo si deve però all’architetto Pietro Nobile che nel 1809 inizia un’indagine con lo scopo di “misurare i frammenti de’ pubblici monumenti architettonici e far escavare a’ loro piedi quando il bisogno lo esiga per l’esattezza e riconoscimento delli medesimi”.
Tuttavia solo nel 1842 con lo scavo di Pietro Kandler, al quale si deve l’apertura dei due arconi alla base del campanile, si ottennero i primi risultati di rilievo.
Egli, infatti, individuò due avancorpi e la scala di accesso centrale di un edificio romano che interpretò come un tempio databile entro il I secolo d.C., stando al rinvenimento di un architrave con dedica di Publius Palpellius Quirinalis e alla base di statua onoraria di Caius Calpetanus Rantius Quirinalis Valerius Festus, trovata in situ davanti all’avancorpo di sinistra del monumento.
Negli anni Trenta del Novecento le indagini furono riprese dall’architetto Ferdinando Forlati che condusse dei sondaggi, purtroppo limitati, anche nella navata settentrionale della Cattedrale. Infine tra gli anni 1949-1951 Mario Mirabella Roberti con la scoperta del muro di fondo dell’avancorpo settentrionale poté riconoscere la vera natura dell’edificio, un propileo (o ingresso monumentale), accantonando così la vecchia ipotesi del tempio, per altro già messa in dubbio dal Forlati.
La struttura dell’edificio
L’edificio, largo 17,20 m, presenta due alae (due avancorpi) su podio con scalinata centrale di otto gradini che porta a un passaggio formato da tre intercolumni e paraste angolari, del tutto simile al propileo di Efeso in Asia Minore (odierna Turchia).
Secondo il Mirabella Roberti le due alae avevano tre colonne sulla facciata (tristila), secondo il Forlati e la Verzar Bass, che ha ristudiato recentemente il monumento, soltanto due con un ampio intercolumnio (distila). L’avancorpo di sinistra è la struttura inglobata all’interno del campanile: si scorgono lo zoccolo e due colonne della fronte e due colonne laterali, la parete di fondo in grandi pietre calcinate da un incendio. Quanto rimane dell’avancorpo di destra, ancora esistente sotto il piazzale della Cattedrale, è invece visibile grazie al cunicolo accessibile dall’Orto Lapidario.
Tale cunicolo conduce in una cripta con arcosoli per le sepolture dei membri delle famiglie o delle confraternite, un tempo raggiungibile mediante una botola sul sagrato della piazza e una scala tuttora esistente.
La trabeazione del monumento presenta una decorazione a elementi vegetali con fiori di loto e palmette. Non è del tutto sicura la decorazione dell’attico che sul lato occidentale potrebbe però essere stata costituita dai rilievi con armi che si trovano ancora inseriti nel corpo del campanile. Il campanile romanico, precedente a quello trecentesco, inglobando il monumento romano ne ha conservato anche parte dell’attico. Ancora in posizione originaria, sempre sul lato occidentale (ma attualmente non visibili), sono i plinti (blocchi sporgenti) decorati rispettivamente da rilievo con figura umana e vexillum (insegna) e da corazza e gladium (spada). Delle sculture che ornavano invece la facciata posteriore (orientale) del propileo rimane un plinto con figura di sacrificante e, molto meglio conservato, un rilievo con due grifi che affiancano una figura stante che emerge da un cespo di acanto collocato entro un vaso biansato. Tale figura, dal sesso indefinibile, che regge due vasi (oinochoai) su cui i grifi poggiano una zampa, è stata interpretata come Dioniso Sabazio, dio della rigenerazione, nell’atto di dispensare con i due vasi il fluido vitale.
Il committente e la datazione del monumento
Rimane tuttora aperto il problema della cronologia del monumento, da considerare un accesso monumentale a un’area sacra, o un monumento onorario, che per i rilievi di carattere guerresco potrebbe alludere alla celebrazione di una vittoria militare. L’apparato decorativo orienterebbe verso l’epoca giulio – claudia. Il rinvenimento nel muro romano, che continua posteriormente il Propileo, dell’architrave di Palpellio, databile con buona probabilità in epoca neroniana (se Palpellio è il prefetto della flotta indotto al suicidio da Nerone) confermerebbe questa ipotesi e si potrebbe vedere nel cavaliere il committente dell’intero complesso. A esiti differenti conduce la proposta di attribuire il medesimo architrave alla basilica civile e di considerare significativa anche per la cronologia del propileo la collocazione davanti all’ala sinistra della base di statua di Calpetano Ranzio, situabile, considerata la carriera del senatore in epoca flavia (poco dopo l’80 d.C.). Del resto la stessa interpretazione del grande edificio del piazzale come basilica civile è stata posta recentemente in discussione. Le dimensioni e la forma farebbero piuttosto pensare a un edificio per il culto imperiale.
MONUMENTI FUNERARI DA TRIESTE
Hominem mortuum in urbe ne sepelito neque urito (Un uomo morto non sarà sepolto né cremato in città). Con queste parole era vietata dalla legge più antica del diritto romano la sepoltura all’interno delle mura cittadine. Questo divieto, disposto a partire dall’età repubblicana, portò alla creazione di aree cimiteriali all’esterno delle mura, lungo le strade di accesso alle città, ai cui lati il terreno venne suddiviso in recinti all’interno dei quali erano sistemate le sepolture, tanto quelle semplici che le monumentali. Quest’ultime esprimevano l’appartenenza a uno stesso nucleo familiare o professionale, il cui alto tenore di vita era simboleggiato dalla ricchezza dei monumenti, con evidente intento autocelebrativo.
Al centro del I ripiano dell’Orto Lapidario è ricostruita con buona approssimazione la circonferenza di un grande mausoleo a tamburo di cui si conservano soltanto alcuni dei blocchi costituenti il podio. La colonna centrale è molto simile a quelle che dovevano decorare forse l’intera circonferenza di questo sepolcro di gran pregio.
Nelle necropoli romane, tanto i sepolcri più monumentali che quelli minori erano caratterizzati dalla presenza di iscrizioni che contenevano i dati anagrafici del defunto, la professione o le cariche civili o militari, accompagnati spesso dai nomi di coloro che avevano predisposto la sepoltura. A volte si leggono manifestazioni di tipo affettivo, altre semplici formulari espressi con sigle e abbreviazioni, oppure vi sono attestate norme giuridiche di diritto privato.
Realizzazioni di minore imponenza rispetto ai monumenti a edicola, ma non per questo di minor effetto, le grandi are funerarie sono altari su cui si compivano i sacrifici che insieme ai banchetti facevano parte dei riti funebri e delle cerimonie che si tenevano nelle ricorrenze annuali dei defunti.
Potevano essere sormontate da pulvini (elemento architettonico a volute simile a quello dei capitelli ionici) o anche da piramidi (o cuspidi) ornate a rilievo con soggetti di ambito funerario.