Omaggio a TOPOLINO

LE GEMME CON I TOPI DEL MUSEO D’ANTICHITÀ “J.J. WINCKELMANN”

Il Civico Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann”, in occasione del 90.mo anniversario di Topolino gli dedica un piccolo omaggio esponendo nella sala romana, in una vetrina, le gemme incise con soggetto Topi.
Il topo è un mammifero domestico che praticamente da sempre e in ogni luogo del mondo convive strettamente con l’uomo. Considerato, forse, il peggior nemico, il topo genera nell’uomo soprattutto paura, quale portatore di malattie; ne minaccia la sopravvivenza devastando i raccolti e svuotando i depositi di cibo, fino a giungere a sovvertire l’equilibrio dell’ordine sociale. Allo stesso tempo, però, del topo sono state ammirate l’intelligenza, la capacità di sopravvivenza e l’adattamento all’ambiente in cui si trova a vivere.
Soprattutto se chiuso in gabbia, il topo è un animale amabile e indifeso. Nelle fiabe e nei fumetti moderni assistiamo ad un affollarsi di topini, dove il Topo è un animale derelitto che occupa l’ultimo scalino sociale costretto a fuggire: è il piccolo essere, in cui il lettore si identifica, perseguitato da qualche cosa di irresistibilmente forte, che minaccia di ucciderlo, inghiottirlo. Il topolino fugge e in un modo rocambolesco riesce a farcela, a salvarsi e a volte anche a danneggiare il suo nemico.
Miky Mause, nato nel 1928, è un esempio da seguire, un eroe disinteressato e idealista.
Nelle tradizioni popolari molti sono gli adagi e i proverbi che hanno un’antichissima origine. Negli scritti antichi, il topo spazia da Omero ad Aristotele, Plauto, Cicerone fino a Orazio, Plinio ed Eliano. Nella tradizione letteraria il topo è saggio, addirittura profetico e filosofo, ma anche parassita per eccellenza e opportunista; la sua capacità riproduttiva e i suoi comportamenti sessuali sbalordivano e impressionavano gli antichi: può riprodursi da 3 a 5 volte all’anno, ogni 3-4 mesi, dando alla luce da 4 a 12 piccoli.
In genere con il termine “topo” ci si riferisce al topo domestico, il Mus musculus (appartenente alla Famiglia dei Muridi, che comprende 83 generi di animali).
Il termine Ratto deriva dal latino raptus che significa razzia, furto. Oggi l’uomo battezza il topo ladro, e allo stesso tempo il ladro è detto topo (d’appartamento o d’auto), ma c’è anche il topo di biblioteca…

La figura del topo nell’arte antica ebbe fortuna nel rilievo, nella bronzistica, nel mosaico e sulle gemme incise (gemme per anelli o ciondoli, in pietra dura incisa con figure e disegni vari, di epoca romana).
Perché mai raffigurare questo animaletto ghiotto e ingordo che rode e sottrae il cibo all’uomo? Si tratta semplicemente di un soggetto di genere o gli è stato attribuito anche un significato allegorico? L’immagine del topo rodente, ad esempio, può facilmente richiamare la precarietà dell’esistenza e l’incessabile trascorrere del tempo che tutto corrode.
Il topo è anche legato alla terra e alla rinascita, ed era collegato al dio Apollo.
Negli scritti degli autori antichi, molte sono le notizie sul dio Apollo legate ai topi. Ad esempio è citato da Omero all’inizio dell’Iliade. Riconosciuto come Signore della salute lo era contemporaneamente della pestilenza. Apollo era il Signore dei topi, capace di inviare il flagello dei topi, portatori della peste, ma allo stesso tempo, placata la propria collera, era “sterminatore di topi”: era quindi capace di dare la vita o la morte. Il dio Apollo ebbe importanti centri di culto in Asia Minore. Sappiamo che nel tempio di Apollo vivevano topolini bianchi, la cui prolificità era presagio di prosperità; erano sentiti come intermediari tra gli dei e gli uomini in quanto dalle loro reazioni venivano tratti auspici.
Nella collezione del Museo d’Antichità tra le migliaia di gemme incise sono 8 quelle che raffigurano topolini. Il topo può essere da solo accovacciato, con un oggetto circolare (un pane o un seme) che spesso regge tra le zampe e rosicchia; probabile rappresentazione del tempo che consuma. Oppure il topo rodente è effigiato, con effetto quasi pittorico, su una tavola a tre gambe, la trapeza tripous, destinata all’uso nel triclinio, o sala da pranzo. Ostinato commensale, nella casa romana il topo, benché indesiderato e ritenuto estraneo e molesto, era un convitato sempre presente. Per la frequentazione dei banchetti, il topo era un animale del dio Dioniso/Bacco; a questo dio lo lega pure la sua sfrenata sessualità. Estremamente prolifico, il topo venne sentito come inestinguibile, e quindi segno di immortalità.
Più divertenti sono le raffigurazioni in cui “i Topi fanno gli uomini”: nella fantasia degli autori, non solo antichi, il topo svolge attività tipicamente umane. Noto è infatti il processo assimilativo del topo all’uomo: vive in comunità complesse; ha cinque dita per zampa e la capacità di ergersi sulle zampe posteriori. Nella tradizione letteraria e nell’arte ellenistica e romana è presente il tema di un mondo invertito in cui i topi intraprendono attività umane, spesso anche sproporzionate rispetto alle loro piccole dimensioni. Rientrano in questa categoria le due gemme con i topi aurighi con carri trainati da animali (pappagalli e cigni), legati al successo delle gare del circo.
Il topo è presente anche in contrapposizione al gallo in una piccolissima gemma del Museo: in cui un gallo trattiene per la coda un topolino. La scena testimonia l’incessante scorrere della vita, attraverso la morte e la rinascita, l’eterno succedersi della notte (cui appartiene il topo) e la luce, la naturale luce del giorno, annunciata dal gallo, vittorioso sulle tenebre: pertanto un’Allegoria del tempo.
Le gemme del Museo d’Antichità, provenienti con ogni probabilità da Aquileia, datate ai primi due secoli d.C. sono state pubblicate in un articolo da Alessandra Magni e Gabriella Tassinari, Mures in gemmis. Iconografia e iconologia del topo nella glittica romana (Madrid Salamanca 2018).

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