8 giugno 2018: Intitolazione del Museo d’Antichità a “J.J. Winckelmann”
Nell’anno del duecentocinquantesimo anniversario della tragica morte, per mano assassina a Trieste, il Comune di Trieste e i Civici Musei rendono omaggio a J.J. Winckelmann (Stendal 9-12-1717 – Trieste 8-6-1768), quale genius loci dell’istituzioni museali triestine, intitolandogli il Museo d’Antichità, che ospita il suo monumento.
A distanza di 65 anni dalla morte, grazie all’instancabile impegno di Domenico Rossetti, era infatti stato dedicato all’illustre archeologo e antiquario tedesco, che viene unanimemente considerato il padre fondatore della moderna archeologia e della storia dell’arte antica, un monumento o cenotafio, intorno al quale vennero raccolte le pietre del passato della città e costituiti l’Orto Lapidario e il Museo.
Winckelman ci insegnò a guardare un’opera d’arte e a capire il perché si possa considerarla bella.
Negli anni della sua permanenza a Roma vide e studiò le ricche collezioni di antichità e basandosi su una enciclopedica conoscenza delle fonti antiche, tanto greche che romane, egli fu in grado di distinguere tra le varie civiltà ed epoche per poter abbracciare la storia degli stili nella loro graduale crescita, maturità e decadenza. Egli descrisse l’arte di una cultura del passato non solo come una sequenza cronologica di eventi e di vite d’artisti ma nei termini dell’evoluzione degli stili ed elaborò una tecnica per “osservare” un’opera d’arte analizzando il suo disegno generale, ma anche le diverse parti di cui era composta; sostenendo che bastasse vedere una mano, un piede o, meglio, una testa per attribuirla correttamente. Era però necessaria l’osservazione diretta dell’opera al fine di individuare le aggiunte e non ci si poteva accontentare di dare un giudizio attraverso i disegni a stampa in cui gli artisti avevano interpretato e aggiustato le figure con il loro gusto estetico.
Oltre ad essere universalmente considerato il padre della moderna storia dell’arte antica ed dell’archeologia, J.J. Winckelmann teorizzò la tecnica del restauro delle statue e quella della museologia.
Secondo Winckelmann il restauro delle sculture antiche doveva essere mimetico-ricostruttivo allo scopo di valorizzare e contemporaneamente preservare i modelli delle belle arti, recuperando l’integrità delle opere originarie contrastando l’azione corruttrice del tempo. Queste teorie vennero applicate anche sulle sculture della collezione tergestina degli Arcadi sonziaci, che riunita alla fine del Settecento, venne restaurata da uno scultore maltese che proveniva proprio da Roma, dove avrà conosciuto le teorie del Winckelmann e dello scultore restauratore, suo amico, Cavaceppi. Queste sculture fanno ora corona al monumento di Winckelmann.
Per Winckelmann lo spazio di un museo deve essere dedicato all’ostentazione dei modelli ordinatamente inquadrati cronologicamente e stilisticamente. Il Museo deve selezionare, ordinare, conservare e rendere disponibili al pubblico i capi d’opera dell’arte antica, modelli delle belle arti riconoscibili stilisticamente, definiti e scanditi in un quadro ordinato di fasi successive in divenire degli stili nel tempo. Questi devono essere proposti ai visitatori per formare il buon gusto, educare al sentimento estetico e iniziare alla contemplazione del bello attraverso la visione della forma perfetta.
Altro scopo del Museo è la tutela del patrimonio rivolta a preservare dal degrado e dalla dispersione i veri prototipi. Nel riconoscimento del valore storico attribuibile alle opere d’arte, il Museo esplica così le sue finalità conoscitive e didattico pedagogiche.
J.J. WINCKELMANN LA VITA
Insigne studioso di storia antica e arte classica, Johann Joachim Winckelmann (Stendal 9-12-1717 – Trieste 8-6-1768) di umili origini, figlio di un calzolaio di Stendal (nella Marca Brandeburghese, odierna Sassonia-Anhalt), studiò dapprima teologia, poi medicina e matematica. Impiegato tra 1743-1748 come maestro di scuola, si dedicò allo studio dei testi di letteratura moderna e antica soprattutto greca e latina, poi fu nel 1748 assunto come bibliotecario e aiutante dell’erudito conte Henrich von Bünau a Nöthnitz (presso Dresda); nel 1754 si spostò a Dresda nella biblioteca del cardinale Passionei. Di religione luterana ma non osservante, si fece cattolico e alla fine del 1755 e arrivò a Roma con un sussidio del re di Sassonia. Qui fu dapprima bibliotecario del cardinale Archinto e passò nel 1758 presso il cardinale Alessandro Albani. Quest’ultimo possedeva una straordinaria collezione di antichità classica che insieme alla biblioteca fu affidata a Winckelmann: in tale ambiente egli fu in grado di condurre quella vita di studi e di ricerche che gli consentirono di scrivere opere fondamentali grazie alle quali raggiunse una reputazione europea e una fama imperitura.
Fu impiegato presso la Cancelleria vaticana e nel 1763 nominato Prefetto delle antichità del Vaticano, una carica autorevole che gli dava poteri decisionali sugli scavi e sulle esportazioni dei reperti archeologici.
Morì assassinato a Trieste l’8 giugno 1768 e qui fu sepolto.
Storia progettuale del Monumento a J.J. Winckelmann
Quale «riparazione della città a tanto delitto» il conte Domenico Rossetti dal 1808 iniziò a promulgare e sostenne, con instancabile perseveranza, il progetto di erigere un monumento alla memoria di Winckelmann, considerandolo anche quale rivalutazione culturale della città. Si sarebbe trattato di un cenotafio (monumento funebre privo del corpo) in quanto non fu possibile recuperare le ossa dello studioso tedesco ormai prive di indicazione e confuse tra le altre nell’ossuario universale, in cui erano state traslate.
La proposta iniziale di Domenico Rossetti fu quella di collocare il monumento all’interno della Cattedrale di San Giusto, ma negatogli il consenso si risolse a progettare un tempietto sepolcrale a sé stante nell’area del Cimitero superiore, area che si estendeva sul lato meridionale della stessa cattedrale. È infatti del 1822 l’idea di erigere «un piccolo Panteon» che ospitasse il cenotafio a Winckelmann affiancato da monumenti di altri illustri triestini; ma bocciato anche questo progetto Rossetti ne elaborò un secondo, analogo, in cui immaginava la collocazione accanto al cenotafio delle antiche lapidi tergestine: si tratta del primo proponimento di collegare il cenotafio alle memorie cittadine, facendo del grande studioso tedesco il nume protettore e coalizzatore delle antichità locali.
Già alla fine dello stesso 1825, però, dopo un ulteriore rifiuto delle autorità e anche per evidenti motivi economici, Rossetti rinuncerà al tempietto e si dedicherà all’ideazione di un semplice nicchione da porre, sempre a San Giusto, nell’area del Cimitero inferiore, in quegli anni dismesso: accanto alle antichità triestine egli proporrà di ricoverare anche quelle aquileiesi, incassate nel muro di cinta e protette da un tetto a spiovente. Anche la vicenda di questo nicchione sarà lunga e complessa e l’area verrà definitivamente concessa per l’erezione del monumento e per accogliere le antichità solo nel 1831.
Il Monumento
La realizzazione del monumento fu nel 1808 commissionata da Domenico Rossetti allo scultore Antonio Bosa, professore dell’Accademia di Venezia. I disegni vennero visionati e corretti dal maestro Antonio Canova e i modelli furono realizzati nel 1819. L’opera, realizzata in marmo di Carrara nel 1822, fu montata nel giardino del futuro Orto Lapidario solo dieci anni dopo, all’interno di un grande nicchione con soffitto a cassettoni. L’inaugurazione ufficiale fu tenuta il primo marzo del 1833.
Il monumento raffigura un giovane genio alato seduto in atteggiamento dolente su un sarcofago, con fiaccola riversa e un medaglione con il ritratto di Winckelmann. Sotto il sarcofago un grande dado porta il bassorilievo in cui un uomo togato – lo stesso Winckelmann – addita le antichità egizie, romane ed etrusche alle figure allegoriche delle Arti (Pittura, Scultura e Architettura) seguite dalla Storia, la Critica, la Filosofia mentre l’Archeologia siede intenta a scrivere. Sul sarcofago è incisa l’iscrizione dettata dal letterato Giovanni Labus.