Risale al 1688 il decreto con il quale il Consiglio dei Patrizi triestini diede l’ordine di far confluire nella piazza principale della città, piazza San Pietro (oggi dell’Unità d’Italia) alcune pietre antiche scolpite e iscritte allo scopo di rievocare la storia della città e incoraggiare gli studi e la conservazione delle testimonianze del passato. Questo primo embrione di raccolta lapidaria fu modesto (due iscrizioni e alcune teste), ma vi faceva bella mostra la base onoraria del monumento per la statua equestre del senatore Lucio Fabio Severo, che è sicuramente la più importante iscrizione romana della nostra città, poiché trascrive integralmente il verbale della seduta della curia nella quale si decretò l’erezione della statua a questo illustre concittadino, da porre nel punto più frequentato del Foro (esposta ora nel Lapidario Tergestino).
L’idea di creare a Trieste un museo che riunisse le antichità ritrovate nella città e nel territorio istriano e aquileiese nacque agli inizi dell’Ottocento e trovò il suo più fervente sostenitore nel procuratore civico e dotto studioso di storia patria Domenico Rossetti. Egli si prodigò con assidua perseveranza per innalzare a Trieste un degno e onorevole monumento alla memoria dell’insigne precorritore dell’archeologia moderna J.J. Winckelmann, il quale aveva trovato tragica fine l’8 giugno del 1768, per mano assassina, mentre era ospite della Locanda Grande nella nostra città. La storia progettuale del monumento fu lunga e multiforme: nella mente del Rossetti, doveva costituire il centro cristallizzatore di un futuro Museo Lapidario, tra rose e alberi, in un giardino delle memorie, luogo di riposo tra i più graziosi e istruttivi, una vera Silva Accademica. Il luogo prescelto fu sul colle di San Giusto, l’area del vecchio cimitero cittadino, che era stato dismesso nel 1825 in seguito alla creazione del nuovo cimitero nella località di Sant’Anna.
L’idea vide finalmente la sua realizzazione dopo più di vent’anni e il monumento a Winckelmann (si tratta di un cenotafio, un monumento funerario privo del corpo del defunto, che non fu possibile recuperare in quanto era stato sepolto in una tomba comune senza contrassegno distintivo), opera di gusto neoclassico dello scultore bassanese Antonio Bosa, professore all’Accademia veneziana, fu inaugurato il primo marzo 1833, e trovò collocazione al centro di una grande nicchia aperta nel ripiano più alto dell’ex cimitero, odierno Orto Lapidario.
Allo studioso Pietro Kandler, nel 1841, fu affidata dal Comune la cura del Museo Tergestino di Antichità – istituzione non ancora ufficializzata – che doveva occuparsi della raccolta e dell’illustrazione delle epigrafi triestine dell’Orto Lapidario, nonché dello studio delle monete antiche e dei diplomi che riguardavano Trieste. Vennero condotti anche alcuni scavi archeologici ed in particolare quello all’interno del campanile di San Giusto dal quale furono recuperate per il lapidario moltissime iscrizioni, frammenti architettonici e scultorei.
L’8 giugno del 1843, ricorrendo il 75.mo anniversario della morte di Winckelmann, venne aperto ufficialmente al pubblico l’Orto Lapidario. Nel 1870 l’Amministrazione civica diede nuova ufficialità alla gestione delle antichità istituendo un Curatorio e affidando la parte scientifica allo stesso P. Kandler. In questo stesso anno il Comune acquistò la prestigiosa e cospicua collezione di antichità aquileiesi che era stata riunita dal farmacista triestino Vincenzo Zandonati. Si trattava di più di 25.500 oggetti, suddivisi in otto inventari; il materiale lapideo fu immediatamente trasferito presso l’Orto Lapidario (e tuttora è esposto nella sezione dedicata ai reperti aquileiesi), mentre il resto della collezione rimase accatastato nelle tre stanze destinate alle Antichità presso il palazzo Biserini (il palazzo ospitava già allora la Biblioteca Civica e il Museo naturalistico), insieme agli altri oggetti appartenuti alla più antica accademia locale, detta degli Arcadi Sonziaci. Nell’anno seguente si aggiungeranno i preziosi vasi apuli della Collezione Ostrogovich.
Lo Statuto di un Museo stabile fu approvato il 9 luglio 1873; si trattava di un’istituzione autonoma sotto l’immediata dipendenza del Podestà e della delegazione municipale e la sorveglianza di speciale Curatorio di tre membri. Il primo direttore fu Carlo Kunz e sotto la sua guida furono eseguiti i primi grandi lavori in Lapidario: il materiale epigrafico aquileiese fu definitivamente collocato nel muro di cinta, all’interno dei sei archi ciechi tuttora esistenti, e fu eretto il tempietto neoclassico d’ordine corinzio, che ospitò la base del monumento a L. Fabio Severo, circondata dalle pietre scolpite più preziose, tra cui quelle della già menzionata accademia degli Arcadi Sonziaci. Iniziò anche il riordino del materiale nella sezione distaccata del Gabinetto di Antichità, presso il palazzo Biserini, dove continuavano ad affluire, con sempre maggiore entusiasmo, per acquisti e generose donazioni, reperti antichi, documenti storici, oggetti di storia patria, accanto ad oggetti etnografici – appartenenti anche ad altre culture primitive ed esotiche – e importanti opere d’arte; alle prime tre stanze ben presto se ne aggiunsero altre quattro.
Nell’Orto Lapidario una nuova sessione di lavori venne condotta dal nuovo direttore Alberto Puschi nel 1899-1901: fu completato l’inserimento delle lapidi triestine nei sei archi creati in continuazione di quelli aquileiesi e delle lapidi istriane nel ripiano dinnanzi al tempietto. I monumenti più insigni, tra cui la base della statua equestre di Caio Calpetano Ranzio Quirinale Valerio Festo e l’architrave di Publio Palpelio Clodio Quirinale, trovarono posto accanto alla base di Lucio Fabio Severo all’interno del tempietto, liberato dal materiale scultoreo (trasportato nel Gabinetto di Antichità), in un allestimento sovraffollato ma garante della loro conservazione.
Nel 1909, in considerazione del fatto che le collezioni civiche non erano più composte solo da manufatti antichi, bensì anche d’importanti opere d’arte e reperti storici ed etnografici, il Museo assunse la denominazione di Civico Museo di Storia ed Arte.
Un anno importante per il Museo fu il 1910, anno della donazione delle vaste collezioni di Giuseppe Sartorio, composte da una sezione di materiale archeologico, ma soprattutto dalla raccolta di vasi antichi, greci, italioti ed etruschi, già della collezione del nonno Carlo d’Ottavio Fontana, da oggetti medioevali e moderni, e da opere d’arte, tra cui la rinomatissima serie dei disegni di G.B. Tiepolo.
Il 10 dicembre 1924 i locali della sede di palazzo Biserini in piazza degli Studi (ora piazza A. Hortis) vennero liberati e le collezioni trovarono nuova e più moderna esposizione presso l’attuale sede nell’edificio di via della Cattedrale 15, già Convitto diocesano, acquistata dal Comune prima della Grande guerra nel 1913. L’inaugurazione si svolse il 21 aprile 1925, alle ore 11 e il 28 ottobre 1931 fu la volta del nuovo ingresso all’Orto Lapidario e al Museo, presso il sagrato della Cattedrale.
Nel 1934, sotto la direzione di Piero Sticotti, vennero eseguiti radicali lavori di risistemazione nell’Orto Lapidario: il ripiano superiore venne liberato da tutto il materiale medioevale e moderno che fu spostato nel sottostante giardino davanti al Museo; il cenotafio a Winckelmann venne collocato all’interno del tempietto e il nicchione che lo aveva accolto fino allora demolito. Il monumento di L. Fabio Severo e gli altri reperti che si trovavano nel tempietto furono invece collocati all’aperto, sul ripiano superiore, insieme alle altre importanti antiche iscrizioni della storia locale.
All’interno della sede museale, nelle diverse fasi evolutive degli allestimenti, la cospicua quantità dei materiali posseduti e fruibili dal pubblico ha subito di volta in volta una significativa riduzione. Al momento dell’inaugurazione l’esposizione si estendeva su tre piani e l’allestimento era un tipico esempio di “arrangement style”, frutto certo del gusto dell’epoca, che amava accostare oggetti disparati, ma che era anche consigliato dalla necessità di soddisfare la legittima ambizione dei donatori di veder esposto almeno qualcosa di quanto avevano offerto. Il Museo esponeva quasi tutto quello che possedeva, dalla preistoria, all’Egitto, alla Grecia e Magna Grecia, soprattutto il materiale da Taranto, al periodo romano, accanto alle collezioni moderne di armi, ceramiche, vetri, a opere d’arte veneta dal Trecento all’Ottocento, ma era anche visibile l’affascinante collezione Orientale.
Oggi vi trovano spazio le collezioni archeologiche, che sono in fase di ampliamento.
Negli anni Sessanta la direzione del museo provvide al ringiovanimento dell’allestimento: ciò comportò una selezione del materiale, sacrificando la maggior parte del patrimonio nei depositi.
Negli anni Novanta è iniziato il cantiere nell’Orto Lapidario che si è concluso con la sistemazione delle lapidi in espositori protetti e con lo spostamento di 130 reperti, tra lapidi e statue, nel Lapidario Tergestino. In questa occasione è stato riallestito il tempietto-gliptoteca ridando luminosità al Monumento a Winckelmann, affiancato dalle sculture della più antica collezione Settecentesca riunita dagli Arcadi Sonziaci e donata al Comune come primo nucleo del futuro Museo.
IL XXI SECOLO
Dal 2000 si svolge un paziente lavoro di recupero dei materiali per poterli restituire al pubblico e soprattutto per permetterne un più esatto inquadramento storico e cronologico e un nuovo allestimento ad opera di specialisti dei vari settori, anche utilizzandolo per tesi di laurea e mostre tematiche.
2000: SEZIONE EGIZIA E ROMANA
Nell’agosto del 2000, gli ambienti al piano terra del Museo sono stati rinnovati. Si tratta di cinque sale, nonché del nuovo ingresso con il bookshop.
Il Museo si arricchisce così dal punto di vista espositivo e didattico, in quanto propone una parte considerevole della sua Collezione Romana e la totalità dei reperti di quella egizia, tra cui figurano numerosi oggetti sinora non visibili al pubblico e per l’occasione studiati e restaurati, accanto ai pezzi concessi in deposito dal Museo Civico di Storia Naturale.
2002: SEZIONE MAYA
La donazione, avvenuta nel 2002, della ceramica maya “Cesare Fabietti” da El Salvador ha permesso di inserire nel percorso archeologico uno sguardo sulle civiltà precolombiane del Centro America.
2015-2016: Sezione ceramica classica
Il secondo piano, liberato dagli uffici, è stato adibito ad esposizione nel 2015-2016 e dedicato alle collezioni classiche. Qui all’interno di vetrine-armadio ottocentesche (recuperate dall’antico allestimento del Museo Civico di Storia Naturale, restaurate e illuminate internamente con luce al led) hanno trovato valorizzazione i vasi provenienti dall’isola di Cipro, quelli dalla Grecia e della Magna Grecia, dall’Etruria e la Collezione Tarantina con il capolavoro del Museo: il rhyton d’argento a forma di testa di cerbiatto del 400 a.C. Se nell’allestimento precedente erano esposti meno di cento pezzi, ora sono presentati al pubblico un migliaio: la terza parte della collezione, ma i materiali rimasti in deposito sono consultabili grazie alle schede inserite nell’apparato digitale presente nelle sale.
2018: NUOVA INTITOLAZIONE: MUSEO D’ANTICHITÀ “J.J. WINCKELMANN”
L’8 giugno 2018, nell’anno del duecentocinquantesimo anniversario della tragica morte, per mano assassina a Trieste, il Comune di Trieste e i Civici Musei rendono omaggio a J.J. Winckelmann (Stendal 9-12-1717 – Trieste 8-6-1768), quale genius loci dell’istituzioni museali triestine, intitolandogli il Museo d’Antichità, che ospita il suo monumento.
2020: SEZIONE PREISTORICA
Il 17 gennaio 2020, nella ricorrenza del 170.mo anniversario della nascita di Carlo Marchesetti (uno dei primi indagatori del passato preromano del territorio intorno a Trieste, al quale il museo deve la maggior parte delle collezioni pre-protostoriche) sono state inaugurate le prime tre sale del primo piano nell’ambito del progetto generale di riallestimento dell’intera sezione. È stata l’occasione di un riordino complessivo delle raccolte (grazie alla collaborazione di docenti e studenti dell’Università di Trieste), di un aggiornamento dei dati di scavo dei diversi siti ed è stato possibile presentare al pubblico la grande ricchezza dei materiali finora custoditi nei depositi.
Crediti
L’allestimento e piano scientifico delle sale del museo sono stati curati da Marzia Vidulli Torlo, conservatore dei Civici Musei con Marino Ierman, in collaborazione per la cura scientifica con: Fulvia Mainardis per la parte epigrafica antica e moderna, Paolo Casari per la parte romana, Susanna Moser per l’Antico Egitto, Manuela Montagnari Kokelj per la preistoria. Hanno collaborato negli anni: Anna Crismani; Anna Moscatelli; Nicoletta Poli; Simonetta Adelfio; Francesca Monti.