Il Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann”, in continuità con la trilogia delle mostre sulle antiche popolazioni della Croazia, Iapodes, Histri e Liburni, organizzate insieme alla Comunità Croata di Trieste, propone ora un’esposizione che valorizza l’alto bacino del fiume Isonzo, affrontando il mito degli Ambisontes.
La mostra si compone di ricchi corredi che sono esposti per la prima volta al pubblico in quanto le vicissitudini di queste terre hanno fatto sì che siano rimasti suddivisi tra i depositi del Museo di Storia Naturale di Vienna, che gli ha concessi in prestito, e il museo di Trieste, mentre i siti sono nel territorio della Repubblica di Slovenia: l’archeologia ha indubbiamente la forza di annullare i confini nazionali.
Chi erano gli Ambisontes?
Gli Ambisontes, antica popolazione alpina, sono conosciuti quasi esclusivamente grazie ad alcune importanti epigrafi di età augustea. Sono infatti elencati nell’iscrizione posta sulla base dell’imponente monumento celebrativo, eretto tra il 7 e il 6 a.C. nel punto più alto della via Iulia Augusta alla frontiera tra l’Italia e la Gallia, ai piedi delle Alpi Marittime (oggi nel comune di La Turbie, tra Mentone e Nizza). L’epigrafe celebrava Augusto come conquistatore dell’intero arco alpino alla fine delle campagne condotte dai suoi generali negli anni tra il 25 e il 13 a.C.
Vi sono nominate ben 46 popolazioni alpine sconfitte, tra cui anche gli Ambisontes apparentemente collocati tra la Rezia e il Norico, approssimativamente in un’area tra la Svizzera e l’Austria.
Ambisontes figurano, accanto ad altre popolazioni del Norico e della Rezia, anche tra i promotori di una serie di dediche alla famiglia di Augusto, di cui sono stati rinvenuti nel centro minerario romano sul Magdalensberg (l’antica Virunum), situato a nord di Klagenfurt, numerosi frammenti, che hanno permesso di ricostruire quattro iscrizioni, che dovevano accompagnare altrettante statue: ad Augusto stesso, figlio del divo Cesare; a Livia, moglie di Cesare Augusto; a Giulia, figlia di Cesare Augusto e moglie di (Tiberio Claudio) Nerone; a Giulia, nipote di Cesare Augusto.
Ambisontioi (o Ambesontioi) sono menzionati in un elenco di popolazioni del Norico occidentale anche dal geografo alessandrino Tolomeo (II secolo d.C.): generalmente si ritiene che siano da identificare con gli Ambisontes, ma alcuni studiosi hanno ritenuto che fossero una popolazione diversa e hanno proposto che fossero stanziati nell’alta valle dell’Isonzo. A ciò ha contribuito l’ipotesi che la denominazione del popolo derivasse dall’antico nome del fiume (ritenuto *Isonte) preceduto dal prefisso celtico amb- ‘sulle due rive’, come nei casi di altri due antichi popoli della Carinzia citati da Tolomeo: gli Ambidravi (stanziati ‘sulle due rive’ della Drava, l’antico Dravus) e gli Ambilici (stanziati ‘sulle due rive’ del fiume Gail, l’antico Licus).
Solo di recente, la scoperta di due dediche votive al fiume Isonzo divinizzato, una recuperata tra i materiali reimpiegati in antico per ricostruire il ponte romano alla Mainizza (Farra d’Isonzo) e l’altra rinvenuta in una cava di ghiaia presso San Pier d’Isonzo, hanno permesso di conoscere la forma corretta del nome del fiume, che era Aesontius.
Dediche votive all’Isonzo dalla Mainizza e da San Pier d’Isonzo
Anche se gli Ambisontes / Ambisontioi sono ben testimoniati nelle fonti antiche, la loro esatta ubicazione rimane oggetto di discussione.
Il mito degli Ambisontes sull’Isonzo
Sin dal Settecento venne posto dagli studiosi dell’antichità il problema di identificare le popolazioni che abitavano l’alta valle dell’Isonzo. Nel 1754, Rodolfo Coronini effettuò una approfondita analisi per dimostrare che la contea di Gorizia non era abitata da popolazioni noriche, e in tale studio fece riferimento agli Ambisontes:
… vi sono infatti gli Ambisonti che abitano su entrambe le sponde del Sonti, tra i quali vi sono i Goriziani.
Nel 1972 lo studioso Jaroslav Šašel pubblicò la sua tesi in cui cercò di dimostrare che la tribù norica degli Ambisontes poteva essere localizzata presso l’Isonzo, in contrasto con Johann Kaspar Zeuss che nel 1836 aveva localizzato la tribù Ambisontes nella valle del Salzach, nel Salisburghese.
La tesi isontina ebbe lunga fortuna e credibilità, creando il mito degli Ambisontes nella valle dell’Isonzo.
Allo stato delle attuali conoscenze storiche e dei recenti ritrovamenti archeologici, si può ipotizzare solo che le popolazioni che abitavano l’alta valle dell’Isonzo in epoca augustea fossero Carni o piuttosto valligiani/montanari autoctoni, sicuramente in contatto sia con i confinanti Norici sia con i Romani, a seguito della romanizzazione nel corso del I secolo a.C. Nelle tombe infatti sono stati trovati oggetti di tradizione celtica, della cultura La Téne, insieme ad armi romane.
La romanizzazione dell’alto bacino dell’Isonzo è avvenuta, probabilmente, in modo abbastanza pacifico, in quanto mancano rilevanze archeologiche che attestino scontri armati tra soldati romani e la popolazione autoctona. La valle dell’Idria/Idrijca non rappresentava un obiettivo militare strategico per i Romani e gli abitanti erano dediti principalmente all’agricoltura. Non si possono comunque tralasciare le tracce di attività militari di Ottaviano, individuate, in particolare, nelle località di Grad pri Reka e di Gradišče pri Cerkno.
La presenza di armi, sia celtiche che romane nelle tombe, può essere dovuta al fatto che, a seguito della presenza romana nell’alto Isonzo, le popolazioni locali siano state ingaggiate dall’esercito romano come mercenari, o come milizia armata attiva sul territorio a difesa dei siti sensibili.
Nelle tombe sono deposti, oltre le armi e gli oggetti d’ornamento di fattura lateniana e italica tardorepubblicana e augustea, anche oggetti agricoli e domestici indigeni, a testimonianza che gli abitanti dell’alto Isonzo erano dediti principalmente all’agricoltura. È proprio questa combinazione di oggetti militari ed agricoli che rappresenta un unicum delle sepolture di epoca augustea a Reka e a Idria.
Necropoli di Reka presso Circhina/Reka pri Cerknem
La necropoli di Reka pri Cerknem, da ora semplicemente Reka, situata nell’alto bacino del fiume Isonzo, risale al tardo periodo La Tène, al I secolo a.C., in particolare all’età augustea.
Le tombe tutte ad incinerazione, erano delle semplici buche coperte da lastre in calcare, simili a quelle di Idria.
I reperti consistono quasi esclusivamente in oggetti metallici in ferro e in bronzo quali armi, attrezzi agricoli e vasellame; in argento alcune fibule e torques; pochi reperti in ceramica.
La necropoli di Reka è situata, in direzione di Idria, oltre il ponte del ruscello Kozarska. Il terreno della necropoli si trova in forte pendenza. Nelle vicinanze della necropoli non sono stati individuati insediamenti ad essa coevi.
Gli scavi
Il primo ritrovamento archeologico risale al gennaio 1883: quando, durante l’ampliamento della strada, vicino al ponte sul ruscello Kozarska (a nord di Šebrelj), gli operai rinvennero alcuni reperti che furono poi segnalati da Simon Rutar. Egli ricorda nei suoi appunti che vennero portati alla luce due gladi, un’ascia, una falce, un tridente, una lancia e un elmo di bronzo, che fu inviato al museo di Gorizia.
I più recenti scavi presso la necropoli di Reka sono stati effettuati sotto il controllo di Rudolf Mahnič, tra il 12 luglio e il 4 agosto 1902. Vennero indagate 14 tombe (due evidentemente prive di corredo) per un totale di 113 reperti inventariati al Museo di Vienna (NHM Wien). Alla fine della prima guerra mondiale, in base alla Convenzione italo-austriaca il 4 maggio 1920, i contenuti delle tombe sono stati suddivisi: 49 reperti furono inviati al Museo di Trieste; mentre 64 reperti rimasero presso il Museo di Vienna.
Necropoli di Idria presso Baccia/Idrija pri Bači
La necropoli fu scoperta a Idria, villaggio che si trova nei pressi di Bača, sul fiume Idria/Idrijca, che sfocia nell’Isonzo presso Santa Lucia di Tolmino. Risale al periodo La Tène, e in mostra sono state scelte tre tombe del periodo tardo del I secolo a.C., in particolare dell’età augustea.
Le 47 tombe tutte ad incinerazione erano scavate a fossa nel terreno, scendendo anche nella roccia; ed erano coperte da lastre in ardesia, simili a quelle di Reka. Anche qui, i reperti consistono quasi esclusivamente in oggetti metallici in ferro e in bronzo quali armi, attrezzi agricoli e vasellame; in bronzo sono alcune fibule e torques; sempre pochi i vasi in ceramica.
Profilo trasversale e Pianta generale degli scavi (pubblicati da J. Szombathy 1901).
Gli scavi
Nella valle, i cui ripidi pendii sono ricoperti di boschi e prati, solo pochi stretti terrazzamenti vicino al fondovalle sono adatti alla coltivazione dei campi e allo sviluppo dei villaggi. Su una terrazza sulla riva destra, che si erge a circa 20 metri sopra il fiume, fu individuata la necropoli, proprio presso la strada provinciale che porta a Circhina (Cerkno), a metà strada tra la canonica e le case più esterne del paese.
Nel campo che fu di proprietà della vedova Katharina Kovačić, detto comunemente Lap, Idria n. 29, sono stati rinvenuti negli anni ‘70 dell’Ottocento i primi reperti in bronzo, che rimasti in mano ai locali andarono fusi.
Uno scavo sperimentale fu condotto dal figlio della proprietaria che consegnò a Vienna alcuni attrezzi in ferro.
L’archeologo Josef Szombathy condusse d’emergenza due brevi campagne tra il 5 e il 9 ottobre 1886 e tra il 14 maggio e il 17 giugno 1887, presentando i risultati in un esteso articolo nel 1901.
Materiali
Equipaggiamenti militari
Nell’età del ferro recente probabilmente in seguito al contatto con le tribù vicine, le quali usavano deporre nelle loro tombe elmi e altre armi, anche gli abitanti di Reka e Idria modificarono il rito di sepoltura: accanto alle ceneri della cremazione e agli ornamenti personali, deponevano anche il loro equipaggiamento composto da armi tanto difensive che offensive.
Se nei periodi precedenti erano le spade lunghe a doppio taglio, le lance e le asce da battaglia a costituire le sole armi, dal periodo tardo La Tène (in particolare dal I secolo a.C.) troviamo anche spade di tipo romano (i gladi), giavellotti, scudi e soprattutto elmi. In questo periodo nuove armi furono adottate o imitate, circostanza che riflette le ricche relazioni commerciali così come il fatto che i locali svolgessero attività militari nell’esercito romano in veste di mercenari o milizia armata, a seguito della presenza sempre crescente della potenza romana nelle zone nord orientali d’Italia.
Gli elmi erano in bronzo o in ferro, di diverse forme di tradizione celtica e poi romana, mentre due erano i tipi di spada in ferro: le spade lunghe celtiche e i più corti gladi, sempre con lama a doppio taglio. Accade però che le lame celtiche vengano ritrovate torte o ripiegate per la loro defunzionalizzazione nella tomba. Completavano l’equipaggiamento gli scudi, dei quali rimangono gli umboni centrali e altri elementi in ferro, e le asce da battaglia, difficilmente distinguibili da quelle per la lavorazione del legno.
Attrezzature e strumenti
Accanto alle armi, numerosi attrezzi agricoli, artigianali e domestici caratterizzano le sepolture di Reka e Idria. Particolarmente rilevante è la loro abbondanza. Si tratta di pezzi certamente di alto valore, tanto usati che nuovi. Appartennero ai beni del defunto, anche se non possono fornire specifiche indicazioni sul suo mestiere o la sua particolare occupazione.
Le diverse forme presenti si ritrovano anche in altri siti, concentrate nell’alto Isonzo, ma sono state rinvenute anche più ampiamente in singoli siti del Goriziano, del Friuli e della Carniola interna, ma non in contesti funerari.
La forte concentrazione di attrezzi e utensili in ferro provenienti dalle due necropoli ha fatto pensare che i modelli fossero importati e quindi imitati nelle officine dell’alto Isonzo, apportandovi alcune modifiche evidentemente ritenute più funzionali alle esigenze locali.
In base alla loro destinazione d’uso si suddividono in: attrezzi agricoli, artigianali (da falegname e da fabbro), da cucina oltre ad utensili vari.
Ornamenti del costume personale
Le forme delle fibule, spille per chiudere le vesti, hanno avuto una veloce evoluzione nel tempo, seguendo il mutare del gusto e delle “mode”. L’analisi delle fibule permette pertanto una precisa periodizzazione cronologica e territoriale, mostrando allo stesso tempo la presenza di tipi consolidati e diffusi, così come di varianti regionali.
Le molte fibule provenienti dalle tombe di Idria e di Reka, nell’ampia e interessante varietà di tipi, costituiscono un utile strumento di datazione delle tombe stesse. Il variare o, più spesso, permanere a lungo in uso di questo ornamento denuncia una chiara volontà di conservare le proprie tradizioni: indicatore di una tesaurizzazione dovuta a componenti affettive, o piuttosto dichiarazione di appartenenza a un gruppo etnico distinto.
Altro elemento del costume era il collare rigido o torques, formato da fili di bronzo o argento intrecciati e decorati da nodi. Di origine celtica, i torques in epoca tardo La Tène continuarono ad essere apprezzati su larga scala e in particolare nel Caput Adriae.
Stoviglie di metallo
Nelle tombe di Idria e di Reka il vasellame metallico appare legato alla tradizione locale della prima età del ferro, mentre il vasellame italico, che ebbe un ruolo importante nella tarda civiltà La Tène, è solo raramente rappresentato.
Nelle tombe, tutte a cremazione, venivano usate come ossuari le situle o le ciste di bronzo, più raramente vasi in ceramica. Situle e ciste sono realizzate in lamina di bronzo ed erano dotate di manico in ferro.
Di particolare interesse è la presenza di molti pezzi del tipico vasellame per il servizio da bere di uso quotidiano. Un simile servizio si trova nella tomba 5 di Idria, costituito da una ciotola con ansa, una tazza con ansa, un mestolo/vinificatore, un secchio di bronzo e un setaccio. Tali oggetti sono legati in particolare alle aree in cui la viticoltura e il bere erano di casa.