L’ampio spazio della Sala C è dedicato ai monumenti provenienti dalle aree sepolcrali, che come in ogni città romana, per ragioni di salute pubblica, erano al di fuori delle mura, disposte ai lati delle principali strade extraurbane. In tal modo tutti coloro che passavano potevano vedere i monumenti, leggere i nomi dei defunti, ma anche riposare negli appositi sedili e ricordare gli antenati.
Le necropoli romane erano suddivise in recinti, le dimensioni dei quali erano indicate nelle iscrizioni (nell’unità di misura detta “piede”, un po’ meno di 30 centimetri) e dipendevano dalla ricchezza delle famiglie proprietarie. All’interno dei recinti erano posti i monumenti che potevano essere ad edicola, oppure a forma di ara o di stele. Le ceneri dei defunti erano custodite in urne interrate presso i monumenti. Solo dal II secolo d.C. venne introdotto l’uso dei sarcofagi, dovuto alla libera scelta del rito dell’inumazione.
38-41. I monumenti funerari figurati
Quattro monumenti funerari rinvenuti presso Tergeste raffigurano personaggi togati: un acroterio (elemento angolare del coperchio a tetto di un sarcofago; n. 38) ospita il ritratto del proprietario, mentre le stele mostrano un defunto adagiato su klyne (letto anche da banchetto; n. 39), una mezza figura con ricco drappeggio (n. 40) e un busto in un timpano triangolare (n. 41).
Si tratta di uno dei due acroteri (elementi decorativi angolari) collocati sul coperchio a tetto di un sarcofago. In questo caso dovevano accogliere i ritratti della coppia dei defunti. L’uomo è raffigurato con tunica e mantello.
39. Stele con figura adagiata su klyne
Inv. 2202
Stele con zoccolo e coronamento modanato e rilievo sulla fronte. Stando alla testimonianza di Ireneo della Croce (XVII sec.) la stele era collocata “nel muro dell’Horto di dietro la Casa Dominicale de’ Signori Giuliani“, vale a dire in casa Giuliani in via Malcanton.
Fine I sec. d.C.
Entro un riquadro ribassato è scolpita a rilievo una figura umana adagiata su klyne, letto o divanetto dotato di gambe decorate e panchetta. Il volto del defunto o della defunta è completamente illeggibile.
40. Stele con togato
inv. 13652
Stele centinata in calcare, con dente per il fissaggio del monumento. Non sono noti il luogo e l’epoca del rinvenimento.
I sec. d.C.
Entro un riquadro centinato è raffigurato un ritratto maschile a mezza figura con tunica e toga con drappeggio “a matassa”.
41. Frontone con togato
inv. 13653
Frontone di stele funeraria in calcare. Non sono noti il luogo e l’epoca del rinvenimento.
I sec. d.C.
Il busto del defunto, privo di qualunque intento ritrattistico, è rappresentato con la tunica e il mantello fissato alla spalla mediante una fibula o spilla rotonda.
48-64. I monumenti lungo la via per l’Istria
Nell’esposizione i monumenti sono suddivisi per zone di provenienza: quelli disposti a destra provengono dalla strada per l’Istria; seguono, sul fondo, quelli dalla strada principale che da Tergeste portava ad Aquileia; quelli posti a sinistra, infine, vengono invece dalle necropoli sorte lungo il mare, dalla zona dei Santi Martiri.
48. Epitafio del seviro Caius Vibius Valens
inv. 13576
Dado di grande ara architettonica in calcare un tempo utilizzato come sostegno dell’altare di San Giovanni Battista nella cattedrale di San Giusto. Una larga fascia decorata da pampini, uva (un uccelletto becchetta gli acini), cornice a kymation, ovoli e perline, orna la parte superiore e si innesta su paraste angolari a rilievo con capitello anch’esse interamente decorate a motivi vegetali (acanto e rosette). I due fianchi dell’ara, che ripetono i motivi della fronte e del retro, sono ornati anche da due foglie di edera accostate che escono dai capitelli e insistono su un urceus (brocca) sul fianco sinistro e una patera (piatto sacrificale) sul fianco destro.
Ultimo quarto del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 74
C(aius) Vibius
Valens,
(sex)vir Aug(ustalis), t(estamento) f(ieri) i(ussit)
ex (sestertium viginti milibus).
Felix lib(ertus), (sex)vir Aug(ustalis), f(ecit).
Gaio Vibio Valente, seviro augustale (= membro di un collegio per il culto imperiale), nel testamento stabilì che fosse fatto (il monumento) con ventimila sesterzi. Il liberto (= schiavo liberato) Felice, seviro augustale, fece (fare).
Il monumento funerario, di cui sopravvive solo la parte superiore del dado, doveva originariamente essere piuttosto fastoso e imponente. Un indizio di tale fasto si coglie anche nel malcelato orgoglio dell’autore, probabilmente un liberto, che non può esimersi dal ricordare il prezzo pagato per la realizzazione dell’ara, 20.000 sesterzi, una cifra considerevole che ci dà un’idea della sua ricchezza (ad es. lo stipendio di un soldato di coorte pretoria, i corpi militari di stanza a Roma, era di circa 4000 sesterzi annui, mentre un legionario ne riceveva circa un quarto).
VOCE DAL PASSATO N. 10
Ascoltiamo Vibio Valente
L(ucio) Appule[io]
L(uci) fil(io) P[up(inia)]
Tauri[no],
decur[ioni],
aed[ili],
[Val]
A Lucio Appuleio Taurino, figlio di Lucio, iscritto alla tribù Pupinia (= il distretto di voto dei Tergestini), decurione (= magistrato), edile (= magistrato addetto alla cura dei templi, degli edifici pubblici, alla polizia municipale ecc.), Valeria … (dedicò)
La base marmorea fu posta, probabilmente dalla moglie, in memoria di Lucio Appuleio Taurino divenuto decurione, vale a dire membro del consiglio municipale, dopo aver rivestito la carica annuale di edile.
[Sex(tus)] Caesius
[Sex(ti) l]ib(ertus) Felix (sex)-
vir Aug(ustalis)
[Caes]ia Sex(ti) lib(erta)
[—]ca uxor.
Sesto Cesio Felice, liberto (= schiavo liberato) di Sesto, seviro augustale (= membro di un collegio per il culto imperiale). La moglie Cesia …ca, liberta di Sesto, (pose)…
51. Epitafio degli Usii
inv. 13607
Ara in calcare con coronamento formato da frontone con patera (piatto sacrificale) posto tra pulvini a foglie e bende chiusi all’estremità da rosette, recuperata nel 1842 nel campanile di San Giusto. Il retro è iscritto con la consueta formula di dedica agli Dei Mani.
Prima metà del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 171
L(ucius) Usius L(uci) lib(ertus)
Philippus v(ivus) f(ecit)
sib(i) et L(ucio) Usio Fido f(ilio),
L(ucio) Usio Thaso ann(orum) V,
L(ucio) Usio Venusto del(icato),
Tulliae A(uli) l(ibertae) Cypare,
Attiae Ti(beri) lib(ertae) Cogitat(ae),
L(ucio) Usio L(uci) l(iberto) Evangelo,
Cossutiae Tyche.
lib(ertis) lib(ertabus)q(ue).D(is) M(anibus) s(acrum).
Lucio Usio Filippo, liberto (= schiavo liberato) di Lucio, da vivo fece per sé e per il figlio Lucio Usio Fido, per Lucio Usio Taso di 5 anni, per il favorito Lucio Usio Venusto, per Tullia Cipare, liberta di Aulo, per Attia Cogitata, liberta di Tiberio, per Lucio Usio Evangelo, liberto di Lucio, per Cossuzia Tyche (e) per i liberti e le liberte.
Consacrato agli Dei Mani (= le divinità protettrici delle anime dei morti).
52. Epitafio del pretoriano Sextus Vibius Cordus
inv. 13543
Stele scorniciata e centinata in calcare, fissata mediante un perno di ferro al blocco di pietra originario, recuperata nel 1909 tra via Pondares e via Sant’Apollinare durante scavi di carattere edilizio. Insieme alla stele fu rinvenuta un’urna cilindrica destinata alle ceneri del defunto.
Terzo quarto del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 45.
Sex(to) Vibio Cor-
do, mil(iti) coh(ortis)
III pr(aetoriae),
Q(uintus) Clodius Sesti-
us v(ivus) f(ecit)
lib(ertis) lib(ertabus)q(ue).
H(oc) m(onumentum) h(eredes) n(on) s(equetur).
In fr(onte) p(edes) XII,
in ag(rum) p(edes) L.
A Sesto Vibio Cordo, soldato della III coorte pretoria (= corpo militare di stanza a Roma), Quinto Clodio Sestio, da vivo fece (fare il monumento, anche) per i liberti (= schiavi liberati) e le liberte. Questo monumento non toccherà all’erede. (L’area del sepolcro misura) sul lato strada dodici piedi (= circa m3,5), verso la campagna cinquanta piedi (= circa m 14,80).
VOCE DAL PASSATO N. 11
Ascoltiamo Vibio Cordo
Lo(cus) m(onumenti)
in fr(onte) p(edes)
XXX.
L’area del sepolcro (misura) sul lato strada trenta piedi (= circa m 8,90).
Su un monumento gemello era segnata invece la misura del lato del sepolcro verso la campagna.
Q(uinti) Albi Sec(undi) et
M(ani) Titi Alb(ini).
In fr(onte) p(edes) L,
in agr(um) p(edes) XXX.
(L’area del sepolcro) di Quinto Albio Secondo e di Manio Tizio Alb(ino) (misura) sul lato strada cinquanta piedi (= circa m 14,80), verso la campagna trenta piedi (= circa m 8,90).
Il monumento era uno dei cippi angolari che definivano l’area sepolcrale dei due defunti all’interno della quale si trovava il vero monumento funebre.
[—] p(edes) XXVII.
… ventisette piedi (= circa m 8).
L(ocus) m(onumenti) in [fronte p(edes)]
XXIII, in [agrum] p(edes) CXXX.
L’area del sepolcro (misura) sul lato strada ventitre piedi (= circa m 6,80),verso la campagna centotrenta piedi (= circa m 38,40).
Il monumento era uno dei cippi angolari che definivano l’area sepolcrale all’interno della quale si trovava il vero monumento funebre.
57-58. Fregi funerari con ghirlanda
inv. 12599 a-b
Due frammenti di blocco in calcare solidali ma non contigui rinvenuti nel 1910 in via San Michele nei pressi di via Tor San Lorenzo.
Prima metà del I sec. d.C.
I due frammenti con decorazione a ghirlande alternate a urceus (brocca) e patera (piatto sacrificale) appartenevano a un monumento funerario di grandi dimensioni.
59. Epitafio di Gavillia …
inv. 31537
Blocco in calcare rinvenuto nel Giardino del Capitano.
I sec. d.C.
Gavilliae [—]
A Gavillia …
La defunta apparteneva a una delle famiglie romane più anticamente documentate nella regione nord-orientale e in particolare ad Aquileia (già durante la guerra istrica del 178 a.C.). Anche a Tergeste vi sono alcune testimonianze di tale gens, benché questa sia l’unica pertinente a un monumento funerario di grandi dimensioni.
A(ulo) Tullio A(uli) l(iberto)
Philargyro.
Tullia l(iberta)
Hilara
v(iva) f(ecit)
sib(i) et patrono.
Ad Aulo Tullio Filarguro, liberto (= schiavo liberato) di Aulo. La liberta Tullia Ilara da viva fece per sé e per il patrono.
La gens Tullia, ben diffusa a Tergeste e nel suo territorio, era probabilmente coinvolta anche in diverse attività produttive (sono noti bolli laterizi riferibili ai Tullii).
[—]
testamento fieri
iussit sibi et Veturiae
C(ai) l(ibertae) Iucundae.
L(ocus) m(onumenti) in f[r(onte)] p(edes) XII,
in [ag]r(um) p(edes) XV.
… nel testamento stabilì che fosse edificato (il monumento) per sé e per Veturia Gioconda, liberta di Gaio. L’area del sepolcro (misura) sul lato strada dodici piedi (= circa m 3,50), verso la campagna quindici piedi (= circa m 4,35).
62-64. Tre urne anepigrafi
inv. 12609-12611
Tre urne anepigrafi (senza iscrizione) in calcare rinvenute nel 1908 in via D. Bramante nelle vicinanze di strutture murarie antiche.
II-III sec. d.C.
Le due urne circolari – l’una cilindrica, l’altra situliforme (a tronco di cono rovesciato) – hanno il corpo appena sbozzato e sono chiuse da un coperchio anch’esso grezzo. Di maggior pregio è l’urna quadrata composta da tre parti mobili (la base, il contenitore e il coperchio) e con superficie trattata a martellina.
65-68. I monumenti lungo la via per Aquileia
La principale strada che usciva dalla città di Tergeste per raggiungere la grande Aquleia, percorsa l’area dell’odierno Borgo Teresiano, arrivava presso la zona di piazza Oberdan, per seguire poi l’allineamento della via Udine. Lungo questo tracciato molti sono stati i ritrovamenti di monumenti sepolcrali.
L(ocus) m(onumenti)
q(u)oque
u(ersus) p(edes) XXX.
Hic locûs
meu(m) her(edem)
non seque(tur).
L’area del sepolcro (misura) in ogni verso 30 piedi. Quest’area non toccherà al mio erede.
Alla moglie … e alla figlia Silvana in ricordo.
Come tutte le città portuali anche Tergeste era un polo di attrazione per gli stranieri; alla comunità parlante lingua greca appartenevano le due defunte, madre e figlia (quest’ultima porta un cognome, Silvana, di origine latina).
69-71. I monumenti dall’area di piazza Oberdan
Tre importanti monumenti provengono dalla zona dell’odierna piazza Oberdan, dove iniziava la strada per Aquileia, la grande città dell’impero romano, di cui Tergeste era un porto satellite.
Sulla parete di fondo, a sinistra, la stele di Lucio Vibio Pollione e sua moglie Floria Hilara (n. 71) mostra i busti-ritratto dei due coniugi come fossero affacciati alla finestra della loro casa: un tipo di monumento che fu molto comune e apprezzato nel territorio aquileiese e in tutta la zona nord-adriatica.
La grande stele di Publio Clodio Cresto (n. 69) porta scolpita a rilievo una nave oneraria (mercantile) a vela quadra che evoca probabilmente il veicolo delle fortune commerciali del suo proprietario.
Accanto, un rilievo militare (n. 70) mostra un trofeo formato da armi e armature, ai piedi del quale stanno un barbaro in catene e una donna affranta in lacrime. Certamente decorava un importante mausoleo a forma di grande base sul quale forse era un’edicola contenente la statua dell’ufficiale cui appartenne.
69. Epitafio dedicato da Publius Clodius Chrestus al suo padrone, a sua moglie e ad alcuni amici
inv. 8502
Stele rettangolare in calcare con rilievo raffigurante una nave, con vela quadra spiegata, e due rematori. Il monumento fu rinvenuto nel 1786 in contrada di Romagna durante i lavori nella Caserma Grande (ora demolita), nell’area di piazza G. Oberdan.
Secondo quarto del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 49
P(ublio) C[[lodi]]o Quirinal(i),
militi leg(ionis) XV Apol(linaris), et
Blassiae L(uci) f(iliae) Placidae uxori
et Cominio Vero, mil(iti) leg(ionis) XIII G(eminae),
et A(ulo) Tullio Chrysantho amico,
P(ublius) Clodius Chrestus
v(ivus) f(ecit) sibi et suis,
C[[aeserniae Sever]]ae.
A Publio Clodio Quirinale, soldato della legione XV Apollinare, e alla moglie Blassia Placida, figlia di Lucio, e a Cominio Vero, soldato dellla legione XIII Gemina e all’amico Aulo Tullio Crisanto, Publio Clodio Cresto, da vivo, fece per sé e per i suoi e per Cesernia Severa.
La scena figurata è stata interpretata come probabile allusione all’attività mercantile svolta dal dedicante. Il militare Publio Clodio Quirinale è stato ritenuto il padre naturale del prefetto della flotta Publio Palpellio Clodio Quirinale, noto dalla dedica su una cornice di porta (vedi l’iscrizione n. 9).
Il rilievo presenta un tronco d’albero su cui sono appese una corazza, un elmo con pennacchio, e scudi dalle fogge diverse. A sinistra del trofeo si trova un barbaro in piedi in catene, a destra una donna rannicchiata e piangente. La lastra decorata (il cui modello stilistico è quello della Colonna Traiana di Roma) era destinata a ornare un monumento di carattere funerario oppure onorario.
71. Epitafio di Lucius Vibius Pollio e di Floria Hilara
inv. 13618
Stele in calcare con timpano, acroteri, pilastri laterali con capitello e ritratti dei due defunti rinvenuta nel 1786 in contrada di Romagna durante i lavori della Caserma Grande (ora demolita), nell’area di piazza G. Oberdan.
Secondo quarto del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 168
L(ucius) Vibius L(uci) f(ilius)
Pup(inia) Pollio.
Floria C(ai) l(iberta) Hilara
uxor fieri iussit.
In f(ronte) p(edes) XX, in ag(rum) p(edes)
a via ad limitem.
Lucio Vibio Pollione, figlio di Lucio, iscritto alla tribù Pupinia (= il distretto di voto dei Tergestini). La moglie Floria Ilara, liberta di Gaio, stabilì che fosse fatto (il sepolcro). (L’area del sepolcro misura) sul lato strada 20 piedi (= circa m 5,90), verso la campagna piedi (quanti sono) dalla strada (principale) al limite della centuriazione
Le dimensioni dell’area sepolcrale sono espresse in modo piuttosto inconsueto dato che per la profondità non è indicato il numero esatto di piedi. Viene detto invece che tale misura coincide con i piedi che vi sono tra la strada (su cui è affacciato il sepolcro) e un “limite”, che potrebbe essere una strada secondaria o più probabilmente uno dei limiti della centuriazione, la divisione del terreno coltivabile in appezzamenti, secondo assi ortogonali, propria del mondo romano.
VOCE DAL PASSATO N. 12
Ascoltiamo Getacia Servanda
72-87. I monumenti provenienti dalla zona costiera
Q(uintus) Nonius
Favor
sibi et
Commiae Ursae
uxori
v(ivus) f(ecit).
H(oc) m(onumentum) h(eredem) n(on) s(equetur).
Quinto Nonio Favore da vivo fece per sé e per la moglie Commia Orsa. Questo monumento non toccherà agli eredi.
73. Epitafio di Titus Marcius Trophimio
inv. 13613
Stele rettangolare in calcare rinvenuta nel 1934 in Corso Vittorio Emanuele III (oggi Corso Italia). La cornice laterale potrebbe indicare che il monumento è il risultato del reimpiego di una lastra modanata.
Terzo quarto del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 135
D(is) M(anibus).
[T(ito?)] Marcio
[Trop]himioni.
Q(uintus) Manl(ius) Aper
gener, Marcia
Trophime fil(ia),
Marcius Trophimus,
Papir(ius) Trophimas,
Manlia Trophime,
nepotes eius,
Commia Euodia,
coniux
b(ene) d(e) s(e) merenti.
(Consacrato) agli Dei Mani (= divinità protettrici delle anime dei morti). A Tito Marcio Trofimione. (Suo) genero Quinto Manlio Cinghiale, (sua) figlia Marcia Trofime, i nipoti Marcio Trofimo, Papirio Trofimate, Manlia Trofime, (sua) moglie Commia Euodia (fecero il monumento) avendolo (egli) ben meritato.
Il gruppo familiare è caratterizzato dalla ripetizione, in diverse varianti, del cognome di Tito Marcio Trofimione anche nelle denominazioni della figlia e dei nipoti.
L(ucius) Virdiu[s C]hius
v(ivus) f(ecit) sib[i e]t
Virdia[e C]hiae.
Lucio Virdio Chio da vivo fece per sé e per Virdia Chia.
Locus
in fro(nte)
p(edes) XVI,
in agr(um)
p(edes) XXII.
L’area (del sepolcro misura) sul lato strada sedici piedi (= circa m 4,80), verso la campagna ventidue piedi (= circa m 6,50).
C(aius) Velitius
M(arci) f(ilius) Lemo(nia),
Bononia, miles
leg(ionis) XX, stipendi(orum)
XXIV. L(ocus) m(onumenti) p(edum) q(uadratorum) XII.
A Gaio Velizio, figlio di Marco, iscritto alla tribù Lemonia (= distretto di voto dei Bononienses), originario di Bologna, soldato della legione XX, in servizio per 24 anni. L’area del monumento (è) un quadrato di dodici piedi (= circa m 4,30).
[—] piiss[im—]
[Ap]pule[ius?—]
[Mar]cell[us?] C+[—]
[—] Hono[ra]tus
[—]e p[—]
——
… amorevolissimo … Appuleio Marcello … Onorato …
[—]vir [—]
[v(ivus) f(ecit)] sib[i et]
[M]anli[ae —]cu[—]
[u]xor[i —]
… viro … da vivo fece per sé e per Manlia .., la moglie …
L(ocus) [m(onumenti)]
in f(ronte) [p(edes) —]
in ag[r(um) p(edes) —].
L’area del sepolcro misura sul lato strada piedi … verso la campagna piedi …
[—]
[—]rivo Paulli s(ervo)
Hermes
Terg(estinorum) dis[p(ensator)]
[—] u[—]
A …rivo, schiavo di Paullo, Ermete, amministratore dei Tergestini, (fece costruire il monumento?).
83. Epitafio di un veterano
inv. 13797
Frammento in calcare rinvenuto nel 1937 nei lavori di costruzione del Palazzo del Ministero dei Lavori Pubblici in via del Teatro Romano. Sulla faccia superiore del frammento è stata scavata, per reimpiego, una cavità rettangolare.
I-II sec. d.C.
I.It., X, 4, 50
[—]
veteran(-)
leg(ionis) XX
[—]
… veterano della legione XX …
84. Iscrizione con misure dell’area sepolcrale reimpiegata come capitello figurato
inv. 14370
Frammento di blocco in calcare reimpiegato sul retro come capitello figurato (testa di angelo), rinvenuto nel 1935 nella demolizione di Palazzo Bideschini (dietro il Palazzo Municipale).
I sec. d.C.
I.It., X, 4, 248
[in fronte p(edes) —]IIII, in ag[rum p(edes) —].
[H(oc) m(onumentum)] h(eredem) n(on) s(equetur).
(L’area sepolcrale misura) …, verso la campagna (piedi …). Questo monumento non toccherà all’erede.
Musae
annorum
XXVI.
A Musa di 26 anni.
Il nome singolo Musa potrebbe indicare che la defunta era una schiava oppure una liberta (schiava liberata), il cui nome completo era ricavabile dall’iscrizione scolpita sul monumento principale.
86. Epitafio dei Clodii
inv. 13608
Dado di ara sepolcrale in calcare collocato nel XVII sec. in Piazza Grande (ora piazza dell’Unità d’Italia) e in seguito inserito nel muro esterno della chiesa di San Pietro e San Rocco (ora demolita). Il coronamento a pulvini, sovrapposto fin dal XIX secolo, non è pertinente.
Ultimo quarto del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 108
L(ucius) Clodius
L(uci) lib(ertus)
Servatus
v(ivus) f(ecit) sibi et suis
Clodiae L(uci) l(ibertae)
Amandae uxori,
L(ucio) Clodio
Amando fil(io)
ann(orum) XXVIII.
Lucio Clodio Servato, liberto (= schiavo liberato) di Lucio, da vivo fece per sé e per i suoi (e) per la moglie Clodia Amanda, liberta di Lucio, e per il figlio Lucio Clodio Amando, di 28 anni.
88-96. L’area sepolcrale dei Santi Martiri
L’area dell’odierna piazza Hortis, detta dei Santi Martiri, fu – come evoca il nome – luogo di sepolture cristiane e di chiese, monasteri e ospedali. Nell’Ottocento vi furono scavati due sepolcri antichi. Questi si erano insediati negli ambienti crollati di edifici romani ormai abbandonati (in quanto la città, persa importanza, andava restringendosi), e vi erano stati riusati moltissimi materiali da più antiche tombe.
Tra questi la stele degli Ostili (n. 88), che all’interno dell’elegante edicola mostra in basso la raffigurazione di alcune stoffe stese su un fornello in una tintoria, probabile riferimento all’attività della famiglia.
C(aio) Hostilio C(ai) f(ilio)
Frugioni,
C(aio) Hostilio C(ai) f(ilio)
Nepoti f(ilio),
L(ucio) Mutillio L(uci) l(iberto)
Nymphodoto f(ilio),
Hostilia C(ai) l(iberta)
Provincia
v(iva) f(ecit).
A Gaio Ostilio Frugione, figlio di Gaio, a Gaio Ostilio Nepote, figlio di Gaio, al figlio Lucio Mutilio Ninfodoto, liberto (= schiavo liberato) di Lucio, Ostilia Provincia, liberta di Gaio, da viva fece (costruire il sepolcro).
Nella parte sottostante all’iscrizione è raffigurato un fornello con panni stesi sopra un palo sostenuto da cavalletti, probabile allusione all’attività di tintori della gens.
La lastra presenta sopra un’alta fascia modanata un rilievo con armi, corazze, elmi, scudi e schinieri. Queste lastre sono attribuibili alla decorazione di un fastoso monumento funerario.
La stele, decorata da cornice che nel tratto superiore è di tipo norico-pannonico, presenta nello specchio ribassato un uomo in toga che svolge, tenendolo con ambo le mani, un rotolo; altri rotoli sono collocati a terra. Il significato del gesto non è di sicura interpretazione: potrebbe voler significare lo status di cittadino o alludere (meno probabilmente) alla professione di scriba.
Hic requiesci-
t in pace Maure-
ntius v(ir) i(llustris), qui vixi-
t ann(is) pl(us) m(inus) XXXIIII.
Depositus est XV
kal(endas) Novemb(res),
ind(ictione) V p(ost) c(onsulatum) d(omini) n(ostri) Ius-
tini imp(eratoris).
Qui riposa in pace Maurenzio, uomo di rango senatorio, che visse più o meno 34 anni. È stato sepolto il 16 ottobre del 571, durante la quinta indizione (= periodo di 15 anni in cui si verificavano le revisioni fiscali), dopo il consolato del nostro signore imperatore Giustino.
L’iscrizione indirettamente ci testimonia che Tergeste dopo tre anni dall’invasione longobarda del 568 d.C. era ancora sotto la dominazione bizantina.
95. Epitafio di Getacia Servanda
inv. 13574
Sarcofago architettonico in calcare decorato da timpano ed edicole con geni alati, rinvenuto nel cimitero della chiesa di San Francesco (odierna piazza A. Hortis).
Seconda metà del II sec. d.C.
I.It., X, 4, 120
Getaciae Servan-
dae parentes.
A Getacia Servanda i genitori (fecero costruire il sarcofago).
La defunta proveniva da una famiglia appartenente alla classe dirigente locale. Il gentilizio Getacius potrebbe aver lasciato traccia anche nel toponimo Cedàs a Barcola, dove forse la gens aveva dei possedimenti.
VOCE DAL PASSATO N. 12
Ascoltiamo Getacia Servanda
96. Epitafio dei Voltidii
inv. 13595
Stele in calcare dotata di nicchia con i ritratti dei defunti disposti su due file (due nella prima, tre nella seconda), ora completamente abrasi, rinvenuta nella necropoli dei Santi Martiri, dove era riutilizzata come coperchio di sarcofago.
Prima metà del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 170
C(aius) Vo[ltidius] C(ai) f(ilius) Fusc[us]
testam(ento) fieri iussit
C(aio) Voltidio Gazaeo patri,
Petroniae Q(uinti) f(iliae) matri,
T(ito) Voltidio C(ai) f(ilio) fratri,
Volumniai T(iti) l(ibertae) Gratai
uxori.
Gaio Voltidio Fosco, figlio di Gaio, nel testamento stabilì che fosse eretto (il monumento) per il padre Gaio Voltidio Gazeo, per la madre Petronia, figlia di Quinto, per il fratello Tito Voltidio, figlio di Gaio, per la moglie Volumnia Grata, liberta di Tito.
La grande stele era piuttosto somigliante a quella dei Barbi tagliata in due parti poi utilizzate – invertite – nella costruzione del portale della Cattedrale di San Giusto nel XIV sec.
42-47. Altri monumenti sepolcrali
Alcuni pezzi, pur essendo di provenienza tergestina, sono stati ritrovati in giacitura secondaria e non possono essere collegate alle necropoli precedentemente illustrate.
42. Lista di collegium (?)
inv. 13596
Lastra rettangolare reimpiegata come lapide sepolcrale della famiglia de’ Marenzi (1635) nel pavimento della Cattedrale di San Giusto.
Prima metà del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 95
A(ulus) Barbius Epinicus,
A(ulus) Barbius Epaphroditus,
Q(uintus) Petronius Parthenius,
Sex(tus) Cossut(ius) Euschenus,
L(ucius) Gallius Felix,
L(ucius) Usius Lascivos,
L(ucius) Lopsius Clymenus,
L(ucius) Lopsius Aprio,
L(ucius) Publicius Iustus,
Pontiena Peregrin(a),
Publicia Primigenia.
Aulo Barbio Epinico, Aulo Barbio Epafrodito, Quinto Petronio Partenio, Sesto Cossuzio Euschemo, Lucio Gallio Felice, Lucio Usio Lascivo, Lucio Lopsio Climene, Lucio Lopsio Aprione, Lucio Poblicio Giusto, Pontiena Peregrina, Publicia Primigenia.
I nomi, disposti in due colonne (quella di destra era forse riservata alle donne), appartengono quasi certamente a liberti (= schiavi liberati), come suggeriscono i numerosi cognomi di origine greca. È possibile che si tratti dei membri di un collegio, forse di carattere funerario (gli associati avevano diritto di essere sepolti nell’area di proprietà del collegio).
43. Epitafio di Marcus Postumius …
inv. 13816
Blocco in calcare di emiciclo di monumento funerario a schola rinvenuto nel 1935 negli scavi presso il castello di San Giusto.
Ultimo quarto del I sec. a.C.
I.It., X, 4, 147
M(arcus) Post[umius —]
Marco Postumio ….
Il blocco faceva parte di un monumento funerario a emiciclo dotato di panchetta per consentire la sosta dei viandanti. Il nome completo del defunto era scolpito almeno su due blocchi affiancati e collocati a mezza altezza.
Il blocco faceva parte di un monumento sepolcrale, forse dedicato a un artigiano. Sulla faccia principale sono infatti scolpiti alcuni strumenti di difficile interpretazione (ad eccezione di un’accetta o martello). Nel 1786, in concomitanza forse con il rinvenimento del monumento, il dado è stato reimpiegato con l’incisione di una nuova iscrizione.
45. Epitafio di Marcellinus (?)
inv. 13724
Porzione sinistra di fronte di sarcofago in calcare con tabula sorretta da due geni alati, di cui sopravvive solo quello di sinistra privo di testa e piedi. La lapide, riutilizzata nel 1588 per un’iscrizione del vescovo Nicolò Coret, rimase fino al 1930 nella vecchia curia di via del Castello.
IV-V sec. d.C.
I.It., X, 4, 292
[—]
[—]umia++[—]
corpo [— Ma]-
rcellin[—]
obseq[—]
vixit a[nnis — deposit-]
XIIII kal(endas) [—].
… Marcellino … visse anni … sepolto il quattordicesimo giorno prima delle calende …
[-] Aur(elio) Marco
v(iro) p(erfectissimo).
M(arcus) Nonius Merc-
usenus v(ir) [e(gregius)]
[ami]co
[in]comparab(ili).
A … Aurelio Marco, cavaliere di alto rango. Marco Nonio Mercuseno, cavaliere, (dedicò / pose) all’amico incomparabile.
Il destinatario dell’ara, Aurelio Marco, è da identificare con il dedicante di un’iscrizione onoraria rinvenuta in Dalmazia e destinata al praeses provinciae Delmatiae (= governatore della provincia della Dalmazia) del 277 d.C., Aurelio Marciano, con il quale il notabile tergestino aveva forse anche dei legami di parentela.
Il dedicante, Marco Nonio Mercuseno, porta un cognome (Mercuseno) di origine indigena diffuso, con varianti, in area illirica.
47. Epitafio dei Trosii
inv. 13584
Dado di ara in calcare in due frammenti; la parte superiore fu riutilizzata come urna, quella inferiore presenta un ampio foro circolare. Il frammento superiore fu rinvenuto in un orto dietro il Castello di San Giusto, quello inferiore nel 1911 era collocato, in periferia, nella casa di campagna di G. Maizen a San Giovanni di Guardiella.
I sec. d.C.
I.It., X, 4, 156
P(ublius) [Trosius]
Peregrinus
v(ivus) f(ecit) sibi et
P(ublio) Trosio Severo
[patri],
Arriae C(ai) f(iliae) Quartillae
matri,
Trosiae P(ubli) f(iliae) Caesullae
sorori,
Trosiae P(ubli) l(ibertae) Ampliatae,
lib(ertis) lib(ertabus) posterisq(ue) eor(um).
H(oc) m(onumentum) h(eredes) n(on) s(equetur).P(ublio) Trosio
P(ubli) f(ilio)
Communi.
Publio Trosio Peregrino da vivo fece per sé e per il padre Publio Trosio Severo, per la madre Arria Quartilla, figlia di Gaio, e per la sorella Trosia Cesulla, figlia di Publio, per Trosia Ampliata, liberta (= schiava liberata) di Publio, per i liberti e le liberte e i loro discendenti. Questo monumento non toccherà agli eredi.
A Publio Trosio Commune, figlio di Publio.
Il monumento non fu solo sottoposto a reimpiego dato che, una volta tagliato a metà, i due blocchi così ricavati seguirono strade diverse venendo a trovarsi alla fine a qualche chilometro di distanza.
128-130. I Monumenti esposti all’ingresso del Lapidario Tergestino
128. Epitafio di Vibia Tertulla e famiglia
inv. 13552
Ara in calcare un tempo murata a destra della porta di accesso al campanile di San Giusto. Nella faccia superiore si trova la cavità per le ceneri del defunto. Il coronamento, non pertinente, è decorato da pulvini e frontone con volto di Medusa e delfini.
Prima metà del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 82
Vibia C(ai) [f(ilia)]
Tertulla [v(iva) f(ecit)]
sibi et L(ucio) Afario Nigro
et C(aio) Afario Celeri f(iliis)
et M(arco) Afranio Grato
contubernali,
lib(ertis) lib(ertabus)q(ue) suis
et Vibiae Dorcadi et P(ublio) Sa-
trio Saturnino coniug(i) eius
et L(ucio) Satrio Valeriano fil(io) eor(um).
H(oc) m(onumentum) h(eredes) n(on) s(equetur).
Vibia Tertulla, figlia di Gaio, da viva fece per sé e per i figli Lucio Afario Nigro, Gaio Afario Celere e per il compagno Marco Afranio Grato e per i suoi liberti e le sue liberte e per Vibia Dorcade e per Publio Satrio Saturnino, suo coniuge, e per Lucio Satrio Valeriano, loro figlio. Questo monumento non toccherà agli eredi.
129. Epitafio di Quintus Manlius Blastus e della sua famiglia
inv. 13569
Ara in calcare privata di coronamento e zoccolo a seguito di reimpiego. Nel XVIII sec. era usata nel monastero di San Benedetto della Cella (via delle Monache) come contenitore per l’olio.
Ultimo quarto del I sec. d.C.
I.It., X, 4, 131
D(is) M(anibus).
Q(uinto) Manlio
Q(uinti) lib(erto)
Blasto.
Manlia The-
ocrite v(iva) f(ecit)
sibi et coni(ugi)
pientissimo
et lib(ertabus) liber-
tisq(ue) post(erisque) eor(um).
(Consacrato) agli Dei Mani (= divinità protettrici delle anime dei morti). A Quinto Manlio Blasto, liberto (= schiavo liberato) di Quinto. Manlia Teocrite da viva fece per sé e per il marito amorevolissimo e per le liberte e i liberti e i loro discendenti.
Fabia A(uli) lib(erta)
Serena v(iva) f(ecit)
Fabiae A(uli) lib(ertae)
Nymphe filiae suae
annor(um) XXV.
Fabia Serena, liberta (= schiava liberata) di Aulo, da viva fece (costruire il monumento) per Fabia Ninfe, liberta di Aulo, sua figlia, di 25 anni.
Storie di lapidi
Il reimpiego di monumenti antichi – riutilizzati nella loro funzione originaria o come elementi decorativi o ancora come semplice pietra lavorata e squadrata – fu un fenomeno ampiamente documentato già in periodo romano. Divenne però del tutto consueto nei successivi momenti di difficoltà e di forte regressione economica, quando, senza alcuno scrupolo, si distruggevano anche le tombe pagane per la costruzione di nuovi sepolcri.
Il Medioevo usò largamente le belle pietre squadrate, contribuendo non poco al progressivo smontaggio delle testimonianze dell’antichità. Tuttavia ben presto, soprattutto in presenza di monumenti di evidente pregio, prevalse un riutilizzo conservativo: così la bella stele dei Barbi, segata verticalmente in due, venne montata come stipiti del portale della trecentesca Cattedrale di San Giusto, ma con le due parti invertite e i ritratti in vista.
Dal XVI secolo infine si affermò una nuova sensibilità nei confronti dell’antico che, proprio perché testimonianza delle lontane radici, divenne degno di conservazione e studio.
Fuori delle mura: il porto
In epoca romana la linea di costa era molto più arretrata. Il porto si estendeva lungo l’attuale via del Teatro Romano: vi sono state ritrovate infatti tracce di moli e magazzini. Mentre presso piazza di Cavana è stata messa in luce una banchina per l’approdo.
Il porto maggiore è riconosciuto invece nell’area dell’odierna Sacchetta, dove era protetto da un ampio molo che terminava nell’isolotto su cui oggi è costruita la vecchia Lanterna. L’ampia baia di Muggia era sicuramente sfruttata per impianti produttivi e portuali, a differenza della linea di costa verso Barcola che era preferita per lussuose residenze o ville marittime.
Fuori dalle mura: l’acquedotto
L’acquedotto romano raccoglieva l’acqua dalla Val Rosandra e, affiancando la strada verso l’Istria, la portava alla città. Si trattava di un gioiello d’ingegneria idraulica, in 12 km di percorso scendeva solo di 16,6 metri. Databile alla metà del I secolo d.C. è formato da una condotta con pareti in muratura, resa impermeabile da un rivestimento interno in malta idraulica, posta entro una trincea scavata parzialmente nel terreno, al fine di mantenere una pendenza ottimale.
Il lungo tratto dell’acquedotto ancora visibile nella Val Rosandra